Catturato il Rambo canadese

«Potevo ucciderli tutti, potevo uccidere anche te. In città sei tu la legge, qui sono io. Lascia perdere, lasciami stare o scateno una guerra che non te la sogni neppure. Lasciami stare. Lasciami stare».

Sono queste le ultime parole pronunciate dal veterano John Rambo (Sylvester Stallone) a un terrorizzato sceriffo Will Teasle (Brian Dennehy) prima di scatenare l’inferno a Hope, tranquilla e sonnacchiosa cittadina della provincia nord-occidentale degli Stati Uniti, del tutto simile a Moncton, New Brunswick, parte orientale del Quebec, dove le autorità hanno tratto in arresto colui che a tutti gli effetti sembrava recitare lo stesso copione del personaggio interpretato da Stallone nella celebre pellicola hollywoodiana.

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Tuttavia, pur indossando una mimetica e una fascia nera per raccogliere i fluenti capelli castano scuro, armato di diversi coltelli e di due mitragliatori sulla cui provenienza gli inquirenti stanno ancora indagando, le sue ultime parole prima di consegnarsi ai poliziotti sono state le seguenti: “Sono finito”.

Questa è il triste epilogo di una vicenda che ha fatto precipitare nell’angoscia e nella paura l’intero stato del Quebec, dal momento che, dopo aver ucciso tre giubbe rosse e averne ferite altre due in pochi minuti, il 24enne Justin Bourque, noto ai servizi di igiene mentale per i suoi gravi problemi psichici, si era dato alla fuga nei fitti boschi della zona, costringendo le autorità a imporre il coprifuoco nell’intera cittadina di Moncton.

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il Rambo canadeseNei momenti immediatamente successivi all’arresto e all’identificazione, gli inquirenti hanno esaminato il computer del ragazzo, rimanendo sconcertati dalle frasi postate pochi giorni prima sul proprio profilo Facebook. “Credo che il mio regno arriverà” la più scioccante, patognomica dei disturbi di cui Justin è afflitto. Accompagnata da farneticanti scritte riguardanti una possibile invasione russa del continente americano, nonché da foto che lo ritraevano, insieme ad altri soggetti rapidamente identificati, mentre simulava azioni di guerriglia nei dintorni di Moncton.

Di reale rimane, tuttavia, oltre alla scia di sangue che si è lasciato alle spalle, la pesante condanna con un‘imputazione equivalente al reato derubricato nel Codice Penale italiano come omicidio plurimo aggravato dai futili motivi – ai sensi del combinato degli articoli 575 e 61 commi 1 e 10 – la cui pena prevista è rappresentata dall’ergastolo. Nonché l’ormai pluridecennale questione sulla libertà di acquistare, proprio come negli Stati Uniti, armi di grosso calibro normalmente in dotazione all’esercito.

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“Non è finito niente, niente! Non è un interruttore che si spegne. Non era la mia guerra, lui me l’ha chiesta, non gliel’ho chiesta io. E ho fatto quel che dovevo fare per vincerla, ma qualcuno ce l’ha impedita”. No Justin, non era la tua guerra e nessuno ti ha chiesto di uscire armato fino ai denti per spargere il terrore nel luogo in cui hai vissuto liberamente fino a oggi. E non puoi certo giustificare la tua azione come un atto patriottico.

“E chi sono loro per urlare contro di me, eh? Chi sono per chiamarmi assassino, se non sanno neanche che cavolo stanno strillando?!”. Mi dispiace contraddirti nuovamente Justin, ma loro sanno perfettamente per quale motivo stanno gridando. Stanno urlando la propria rabbia e disperazione per essere stati in balia di un folle che non ha esitato a premere il grilletto così da soddisfare i deliri che lo perseguitano. Non ci può essere il perdono. Almeno per il momento.