Enemy

Un bel film può affrontare molte tematiche oppure una soltanto. La cosa importante è il modo in cui ci si approccia agli argomenti trattati e la chiave di lettura che viene fornita allo spettatore.
Dopo il più che convincente Prisoners il regista canadese Denis Villeneuve continua la sua collaborazione col talentuoso Jake Gyllenhaal portando sul grande schermo il romanzo L’uomo duplicato del Premio Nobel per la Letteratura Josè Saramago.
Enemy è uno di quei film in cui vige la regola della libera interpretazione lasciando nel contempo allo spettatore appigli forti a cui aggrapparsi per trovare una visione oggettiva della storia. Ideologie sul totalitarismo, frammenti paranormali, concetti filosofici e immagini oniricamente metaforiche sono gli ingredienti in cui può essere sintetizzata questa pellicola diretta con mano raffinata e concisa.

Adam Bell (J. Gyllenhaal) è un professore di storia che conduce una vita grigia e monotona nella città di Toronto. A un passo dalla depressione, l’uomo una sera si imbatte in un film nel quale scorge un attore identico a lui. Da quel momento scatta la voglia di cercare questa persona spinto dalla curiosità di conoscerla.
La ricerca e la successiva conoscenza di questo “doppio” condurranno il protagonista a conseguenze sconvolgenti.

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Caratterizzata da una fotografia quasi monocroma e da un montaggio altalenante, la pellicola è pervasa da sequenze ipnotiche. Dialoghi essenziali al servizio di scene esaustive quanto enigmatiche che rendono chiare le situazioni ma ne velano il significato insito. Alcuni aspetti che fanno azzardare analogie con L’uomo senza sonno di Brad Anderson.
Anche qui ci troviamo di fronte ad un uomo che sembra fare i conti col proprio “io” e con un altro “se stesso”, ma non c’è la medesima escalation di scoperte che conducono lo spettatore verso la soluzione del tormento che attanaglia il protagonista. Qui il processo è quasi al contrario, con scene che sembrano via via sempre più bizzarre, in bilico tra la razionalità e l’irrazionalità. Le situazioni vissute da Adam Bell appaiono surreali ma vengono affrontante con un’alta componente di razionalità, tentando di trovare spiegazioni concrete e plausibili a ciò che gli sta capitando.
Ma questo film è molto più che un viaggio all’interno della mente di una persona.
I temi trattati dal romanzo da cui è tratto ci lasciano pensare che la trasposizione disarmante che ci fornisce il regista si affidi a metafore fondate su significati molto più profondi di quel che ci appare.
Le pillole di storia esposte dallo stesso protagonista in una sua lezione affrontano tematiche totalitaristiche di cui tutto il racconto è metafora. Il protagonista è il simbolo della società che si lascia distrarre al fine di essere manipolato dal potere che lo governa. La battaglia che si apre tra egli e il suo doppio come simbolo del dualismo presente in ognuno di noi, in continuo scontro tra le due parti che compongono il nostro essere. La vita di un uomo ripartita su due differenti binari esistenziali (e forse temporali) con il solo scopo di mostrarci quanto possono essere diverse le personalità che albergano in noi e la conseguente perdita dell’individualità.