Iraq, contrattacco su Tikrit. Gli USA finanziano i ribelli siriani moderati.

iraqi forces

L’esercito governativo iracheno ha attaccato sabato la città di Tikrit. A soli 95 chilometri dalla capitale e a metà strada da Mosul, è un punto strategico fondamentale per impedire l’avanzata degli estremisti sunniti. Supportati da elicotteri d’assalto e mezzi pesanti, i militari hanno bombardato le postazioni dei ribelli dell’ISIS, che si erano asseragliati nell’università cittadina. E ora molti edifici governativi sui quali era stata issata la bandiera nera dei jihadisti sono stati riconquistati. Ma la battaglia nella città dell’ex rais Saddam Houssein non è ancora finita. La tv di stato annuncia la vittoria, ma i residenti in città raccontano un’altra storia. I militanti sunniti, gli ex baathisti e i terroristi resistono ancora per le strade di Tikrit. Secondo alcune fonti avrebbero piazzato delle cariche nascoste sulle strade principali per rallentare l’avanzata dell’esercito.

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Nel frattempo la minaccia dell’ISIS (lo stato islamico dell’Iraq e della Siria) si espande in altre direzioni. In Giordania, nella cittadina di Maan, ci sono state delle manifestazioni nelle quali sono comparse le insegne dei jihadisti. Uomini dal volto coperto, armati, sono stati avvistati in piazza. La Giordania è appena sotto la Siria, sul confine occidentale iracheno, e data la velocità con cui i ribelli prendono posizioni non è esclusa una sortita anche nella regione. Ormai i miliziani sunniti controllano circa il 95% della frontiera iracheno-siriana.

Bashar Al Assad ha mandato alcuni dei suoi aerei in settimana per bombardare la regione irachena di An Bar, ormai totalmente controllata dall’ISIS. Il premier Al Maliki non ha avuto obiezioni a riguardo. L’Iran ha schierato i suoi pasdaran al fianco dell’esercito regolare; il generale iraniano Souleimani, nemico storico degli Stati Uniti, si trova attualmente a Baghdad come consigliere militare, così come i 300 americani inviati da Obama.

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Gli U.S.A. hanno scelto però una strada diversa per arginare la crisi. Alcuni droni statunitensi sorvegliano i cieli di Baghdad, ma non hanno intenzioni offensive. Il presidente Obama cerca l’alleanza con i ribelli moderati siriani; il segretario di stato, John Kerry, è volato fino in Arabia Saudita per incontrare Armad Jarba, presidente della Coalizione Nazionale Siriana, che si oppone dal 2011 al regime di Assad. Nel colloquio Kerry avrebbe promesso un finanziamento da 500 milioni di dollari in equipaggiamento e addestramento per i ribelli siriani moderati, anche loro in conflitto con i jihadisti. «Noi rappresentiamo la terza via rispetto al regime sanguinario di Bashar Al Assad e agli estremisti di ISIS e del fronte Al Nusra», ha dichiarato Jarba. Kerry è poi stato ricevuto dal re saudita Abdullah per discutere con l’alleato dell’escalation in Iraq.

Ma un altro grande paese prende parte nel complesso quadro medio orientale. Giovedì Al Maliki aveva annunciato un carico di 12 jet spediti dalla Russia su un aereo cargo. Sono arrivati oggi, assieme a esperti russi incaricati di prepararli al combattimento. Cinque Su-25 saranno pronti nei prossimi giorni; si tratta di bombardieri a corto raggio, già pilotati dagli aviatori iracheni in precedenza. Le trattative con l’America sul rifornimento militare si sono invece impantanate. Le frequenti richieste del Congresso per un governo più inclusivo di unità nazionale hanno irritato il premier Al Maliki, per nulla disposto a cedere sulle sue posizioni politiche. Le pressioni per un passo indietro del primo ministro iracheno arrivano anche dalla massima autorità religiosa sciita, l’ayatollah Ali Al Sistani, e dagli ufficiali curdi che collaborano con l’esercito.

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In meno di un mese l’ISIS ha cambiato tutti gli equilibri geopolitici dell’area. Il Kurdistan iracheno ha sfruttato la situazione per ribadire la propria indipendenza dal governo di Baghdad; dopo la presa di Kirkuk, importante scalo petrolifero, non è disposto più a ritirarsi dalla città, da anni contesa tra i curdi e gli sciiti. Le raffinerie di Baiji sono state messe in sicurezza, anche se i ribelli sono insediati in tutta la zona circostante e rendono praticamente impossibile la ripresa regolare delle attività dell’impianto. I confini che disegnarono a tavolino Inghilterra e Francia dopo la caduta dell’impero ottomano stanno rivelando tutta la loro instabilità. Le periodiche ingerenze di stati stranieri hanno amplificato le spaccature storiche del popolo musulmano. Una volta conclusa la crisi ci sarà bisogno di un nuovo piano per riportare l’equilibrio tra gli stati regionali. E speriamo che la storia abbia insegnato qualcosa.