Israele, estremisti ebrei minaccia interna?

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Situazione incandescente in Cisgiordania, dopo che nella notte tra giovedì e venerdì la casa di una famiglia palestinese nel villaggio di Duma, vicino alla città di Nablus, è stata data alle fiamme. E’ rimasto ucciso il bambino più piccolo, Ali Dawabsheh, 18 mesi, ed è ferito gravemente il fratello maggiore, Ahmed, 4 anni. Anche i genitori sono rimasti ustionati, mentre con i figli cercavano di lanciarsi fuori dall’edificio. I sospetti si sono subito concentrati sugli ebrei ultraortodossi, poiché sui muri della casa sono state trovate le frasi in ebraico “Viva il Messia” e “Vendetta”: infatti si pensa che si tratti di un’azione di vendetta per l’assassino di un ebreo avvenuto il mese scorso nella stessa zona da parte palestinese. Alcuni testimoni hanno riferito di aver visto due persone (forse proprio estremisti ebrei) che lanciavano bottiglie incendiarie nell’abitazione e in un edificio vicino, dove fortunatamente non c’era nessuno.

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La condanna israeliana e la risposta palestinese

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha telefonato al presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), condannando “sconvolto” quello che ha definito un “terribile crimine”, un “atto di terrorismo” contro il quale Israele mantiene un atteggiamento “ferreo” indipendentemente da chi siano i responsabili. Si è anche recato in ospedale a trovare il fratellino del bimbo rimasto ucciso nell’incendio.

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Parole di condanna sono arrivate pure dal portavoce militare israeliano Peter Lerner. Tuttavia non hanno convinto Saeb Erekat, il numero due dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), il quale ha affermato che Netanyahu non può dissociarsi da quanto è accaduto poiché – ha rilanciato Erekat – il suo governo persegue una politica di “colonizzazione” e di “apartheid” nei confronti dei palestinesi e delle loro terre. Dello stesso avviso il presidente palestinese Abu Mazen, che ritiene Israele responsabile di questo “crimine odioso”. Un ufficiale palestinese ha sostenuto che non si tratta del primo attacco di questo genere a Nablus, ma ha accusato Israele di garantire l’impunità ai “coloni”. Non meno duro è stato il ministro dell’Informazione della “moderata” Giordania, Mohammad al-Momani, ad avviso del quale il governo israeliano ha rinunciato alla pace e voltato le spalle ai diritti dei palestinesi.

Tra tutte queste condanne – tra cui anche quella dell’Unione europea attraverso l’Alta rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue Federica Mogherini – non poteva mancare quella di Hamas, che ha indetto per venerdì 31 luglio – ricordiamo che il venerdì è il giorno sacro per i musulmani – la “Giornata della Rabbia”, per altro già prevista per i recenti scontri con l’esercito israeliano alla Moschea di al Aqsa. Proteste e violenze si sono verificate in Cisgiordania, a Gerusalemme ed in una città araba di Israele.

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Il 18 giugno scorso è stata data alle fiamme una chiesa, quella della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci a Tabgha, sul Mare di Galilea e la responsabilità è attribuita anche qui ad estremisti ebrei perché fuori dalle mura sono comparse scritte piene d’odio in ebraico. Per quell’attentato sono stati incriminati due ragazzi: Yinon Reuveni , 20 anni, e Yehuda Asraf, 19. Arrestati altri due, di nome Mordechai Meir, 18 anni, e Moshe Urbach, 24. Sarebbe coinvolto anche un minorenne. Tutti sono sospettati di attacchi violenti contro i palestinesi in passato e sono stati allontanati dalla zona. Comunque le indagini sono ancora in corso.

L’accoltellamento di 6 persone al Gay Pride di Gerusalemme

Per il fatto è stato arrestato un uomo, Yishai Schlissel, uscito dal carcere solo tre settimane fa per aver accoltellato altre tre persone durante la stessa manifestazione dieci anni fa. Era stato condannato a 12 anni di reclusione. Due degli aggrediti questa volta, un uomo e una donna, sono in gravi condizioni.

In questi giorni circolava sul web una lettera minatoria scritta a mano, attribuita proprio a Schlissel, contro gli organizzatori della marcia “nella città del Re di tutti i Re”, organizzatori che così facendo avrebbero avuto l’intenzione di “profanare il suo Tempio”. Ed esortava tutti gli ebrei ad impedire la manifestazione a costo di essere picchiati e arrestati.

Israele resta il rifugio di numerosi omosessuali palestinesi che sfuggono da una realtà in cui vengono discriminati e rischiano anche la vita, soprattutto nella Striscia di Gaza, sotto il governo di Hamas. Secondo RightReporter.org solo 2014 sono stati più di mille fuggiti nello Stato ebraico: 1.034 – 1.011 uomini e 23 donne – secondo il ministero dell’Interno israeliano. L’Anp, che ufficialmente non ha mai promulgato leggi contro l’omosessualità, ha collaborato a farli espatriare, compatibilmente con le necessarie norme di sicurezza israeliane nei confronti di chi arriva dai Territori.

Tuttavia c’è da chiedersi, visti i recenti episodi di violenza attribuiti ad ebrei ultraortodossi, se essi non rappresentino una minaccia interna ad Israele nel suo ruolo di unico Paese democratico in Medio Oriente o se abbiano un tale potere da ostacolare davvero il processo di pace con i palestinesi.