Megan Cox e la politica anti-depressione della compagnia aerea Emirates

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Nel mese di aprile Megan Cox, ventiduenne del Somerset, Inghilterra, dopo aver affrontato tutte le selezioni necessarie, riceve la tanto attesa chiamata da Emirates che le comunica che la sua candidatura ad assistente di volo è stata accettata: nel giro di un mese potrà recarsi a Dubai, sede di Emirates, e iniziare il suo percorso verso il lavoro dei suoi sogni. Megan è felicissima, manca solo un’ultima pratica da sbrigare: la compagnia aerea le richiede, infatti, di fornire la propria cartella clinica, includendo non solo eventuali problemi di salute da cui è attualmente affetta ma anche lo storico delle malattie che ha contratto in passato.

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Megan affronta tutte le spese necessarie per accertare il suo stato di salute e farsi rilasciare i certificati medici richiesti; pur consapevole della mole di pregiudizi che gravitano attorno al problema della depressione, decide di non nascondere che ne ha sofferto nel 2012, a seguito di “circostanze orribili”, e allega un certificato del suo medico di base in cui si dichiara che Megan ha affrontato tutte le cure necessarie per sconfiggere il problema e che al momento è idonea, sia fisicamente sia mentalmente, al lavoro.

Megan aspetta pazientemente: le avevano confermato di essere stata scelta e ormai ha le valigie pronte per Dubai. La prospettiva di lavoro si tronca però quando, la settimana scorsa, riceve tramite email una breve notifica da Emirates, la quale spiega che la sua offerta di lavoro “è stata ritrattata perché le precondizioni indicate nel contratto di lavoro non vengono rispettate”.Megan Cox Nel suo contratto Emirates indica, infatti, esplicitamente che non saranno prese in considerazione le candidature di chi soffre di depressione, disturbo bipolare o condizioni simili. A nulla vale però il fatto che Megan è, a detta del suo medico e degli specialisti nel campo, ormai guarita e pronta ad affrontare il mondo del lavoro.
Megan è sconcertata, si vede oggetto di un grave atto di discriminazione, ma ha l’intuito e la sensibilità necessari per capire che tale atto non ha effetto solo contro di lei, bensì contro tutti quelli che come lei cercano di condurre una vita normale dopo essere sopravvissuti al dramma della depressione e puntualmente si vedono sbattere in faccia le porte della società. Non si dà per vinta, capisce che questa è una causa più grande di lei, che va oltre il singolo episodio: decide di sfruttare il più grande strumento che l’epoca in cui viviamo ci offre, ovvero i social network. Il 21 maggio fonda una pagina su Facebook, intitolata Emirates Against Depression, per dare voce alla sua indignazione e in pochissimo tempo riceve messaggi di sostegno e di rabbia da tutto il mondo, attirando l’attenzione dei media nazionali.

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Tanti i commenti di solidarietà e le testimonianze di esperienze analoghe a quelle della giovane inglese: come Emirates, numerosi datori di lavoro vedono la depressione come un germe infetto da scacciare dai propri uffici, anche se tale germe è stato già scacciato dalle cure prescritte dagli specialisti.article-2637199-1E22B87200000578-451_308x601
Che la decisione di Emirates sia ai limiti della legittimità o meno, la storia di Megan e il forte supporto che sta ricevendo sono spia di un problema di fondo da non sottovalutare: la demonizzazione della depressione o di altre malattie mentali. Una persona su quattro, secondo le statistiche, soffre di disturbi analoghi, eppure l’omertà che gira attorno ad essi è ancora schiacciante. Soffrire di tali problemi è ancora un tabù, qualcosa di cui chi ne è affetto si vergogna di ammettere e preferisce nascondere nell’intimità della propria casa, finendo così per non chiedere aiuto e non trattarli come ciò che sono: malattie. Malattie come il cancro, come la polmonite, come l’anemia. Malattie da cui si può guarire e iniziare a condurre una vita nei canoni della normalità. Prese di posizione come quella di Emirates non incoraggiano ad aprire bocca, ma allo stesso tempo se non si apre bocca episodi simili continueranno a verificarsi.

Aggiornamento della compagnia Emirates 24 maggio:

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La compagnia ha fatto sapere tramite un portavoce che Emirates ha delle linee di assunzione chiare e imparziali e supporta le pari opportunità. La vita all’interno come membro del personale di volo è impegnativa sia a livello fisico che mentale, dato che ci si deve sottoporre regolarmente a cambi di fuso orario e ritmi notturni irregolari, i quali possono avere effetti importanti sul corpo. I nostri assistenti di volo sono responsabili della sicurezza di centinaia di passeggeri, perciò è importante che tutti i candidati rispondano ai nostri requisiti di assunzione.” Riguardo al caso Cox puntualizzano: “Emirates si dispiace della delusione della signora Cox per non essere stata assunta, provvederemo a un rimborso di tutte le spese mediche pre-assunzione che ha dovuto affrontare. Le auguriamo il meglio per i suoi progetti futuri.”

Storie come quelle di Megan, che ha avuto il coraggio di esporre le proprie vicende pubblicamente, nonostante fosse conscia del fatto che lo stigma attorno alle patologie mentali è forse più insormontabile delle malattie stesse, sono quindi necessarie per rompere l’orbita di questo resistente circolo vizioso e dare coraggio a chi come lei vuole alzare la voce e insegnare al mondo che la depressione non è altro che una malattia. Una malattia la cui guarigione richiede indubbiamente una forza fuori dal comune. E allora condurre una vita normale sembrerà una passeggiata.

JULIA ARENA