Nikita krusciov: un contadino al Cremlino

Uno degli effetti del XX° congresso Pcus fu che stalinismo e l’epoca del terrore divenne definitivamente superato, ma con l’uscita di scena di Krusciov, il processo di liberalizzazione che avrebbe dovuto seguire, ebbe un brusco arresto.

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Mosca Febbraio 1956, in un lussuoso palazzo nei pressi del Cremino, stanno per iniziare i lavori della XX° edizione del congresso nazionale del partito comunista, vi partecipano, provenienti da ogni angolo dell’Unione Sovietica, 1436 delegati invitati per l’evento.

Un congresso che una volta conclusosi rappresenterà una netta separazione fra un passato rivelatosi improvvisamente scomodo e difficile da dimenticare. Nessuno dei delegati si aspetta minimamente il clamore e le dirompenti accuse trapelate dal discorso che il neoeletto segretario generale, farà a breve. Per molti di loro uno shock inaspettato a cui non erano preparati.

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A tre anni dalla morte del suo fondatore Stalin, l’Urss come si chiamava allora, doveva fare i conti con un passato spiacevole, e affrontare alcune questioni apertesi nel frattempo, nessuno si aspettava sconvolgimenti, al massimo qualche cambiamenti di poltrone, i soliti “avvicendamenti” politici.

Ad aprire il congresso con un discorso introduttivo lo stesso neo segretario Krusciov con la tipica oratoria veemente che lo contraddistingue. Non risparmia nessuno, si scaglia contro tutti: superamento della guerra fredda, la pace come cornice ideale nei rapporti con gli altri paesi, lancio della nuova politica denominata “coesistenza pacifica”, sconfessione della politica staliniana, revisione del ruolo di grande potenza militare, ultimatum sull’adozione di nuove politiche, pericolo di autodistruzione devastante dell’umanità a causa del pericolo nucleare, …

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Non risparmia nemmeno la struttura organizzativa del partito: rafforzamento del socialismo parlamentare a discapito del presidenziale, – a suo dire divenuta una quasi dittatura personale – pluralismo politico, ed infine, una relazione che passerà alla storia come il “rapporto segreto”,ma che di segreto aveva ben poco. La seduta sul rapporto si tenne a porte chiuse, nella notte fra il 24 e 25 febbraio e sui resoconti vi fu un generale riserbo – ma nessuna segretezza visto che il 4 giugno pochi mesi dopo, il dipartimento di stato americano  ne pubblicò integralmente un testo, fornito dal solito gruppo di dissidenti polacchi, dichiarando essere stato quello completo.

In tale rapporto si denunciava gli inutili orrori dello stalinismo, facendo precise accuse non solo alle colpe di Berija, capo del polizia segreta, ma anche attaccando Melenkov e Molotov.

Insomma, una eredità pesante e molti conti in sospeso ereditati dalla vecchia nomenclatura.

Una denuncia esplicita, chiara e senza mezzi termini, da parte di un politico che seppure in posizione di vertice aveva più avversari che amici, in un paese che era cresciuto all’ombra di Stalin e che ancora lo rimpiangeva, governato da una nomenclatura dedita ancora al culto della personalità e alla carriera. Krusciov presentò una strategia di riforme e cambiamenti che avrebbero dovuto innescarne altri a sua volta, se approvati, alcune di importanza radicale altri di semplice adeguamento.

Il congresso si concluse con il varo del VI° piano quinquennale di programmazione economica e di bilancio a cui lo stesso Krusciov diede impulso soffermandosi sui problemi dell’agricoltura a lui tanto cara.

È difficile trovare un politico che riesce limpidamente a fare autocritica, riconoscendo gli errori del partito e del regime, parlando con franchezza di “crimini”nella condotta del suo predecessore, ben sapendo che milioni di cittadini avevano fatto carriera e pianto quel culto imposto da Stalin.

Ma che adesso era necessario superare. Elencando gli atti di libera illegalità compiuti per suo ordine, e l’escalation degli ultimi anni dovuto all’aggravarsi dello stato paranoico di Stalin, dovuti all’isolamento nel Cremino, che fece sprofondare il paese intero in uno stato di palese terrore. Stalin faceva arrestare e fucilare chiunque, sulla base di un semplice dubbio o sospetto, non solo individui ma anche interi villaggi. Insomma Krusciov manifestò il desiderio di lasciarsi alle spalle un periodo troppo buio della storia, dichiarandolo definitivamente tramontato ed innescare un nuovo processo politico. Difficile in una società dove in quasi ogni famiglia si piangeva la scomparsa di un congiunto o di un figlio ad opera della Gpu (poi NKvd e poi ancora Kgb).

Ma chi era Krusciov? Da dove saltava fuori?

Nikita Sergeevic Krusciov nacque a Kalinovka, nella provincia di Kursk, una regione di confine dell’Ucraina settentrionale, classe 1894 da una famiglia di contadini, come tutti i ragazzi che non sono indirizzati allo studio, a 15 anni entra in fabbrica, come operaio, divenne bolscevico e partecipò all’offensiva sul Mar Nero. Nel 1921 entrò nella facoltà operaia e poi divenne segretario del distretto, per essere pochi anni dopo eletto delegato Pcus in Ucraina. Inizia così una carriera esclusivamente politica che lo porterà a ricoprire varie cariche fino ad arrivare ad essere delegato regionale del XV° congresso, una carriera politica costantemente in crescita, inarrestabile, che lo vede nel ‘32 segretario del partito di Mosca, nel ‘38 primo segretario del comitato centrale dell’Ucraina, poi capo dell’organizzazione del partito(‘49) ed infine responsabile dell’agricoltura (‘50), la sua più grande passione, ed infine nel ’53 affianca prima e sostituisce poi il debole Malenkov alla guida del partito.

Goffo, di media statura, toccava a stento il 1,60 metri, spiritoso, eccellente politico, dotato di fiuto e capace di sfruttare a proprio vantaggio una situazione fino in fondo, mise spesso in ridicolo intere  organizzazioni e lo stesso dipartimento di stato. Dotato di una dialettica aspra, spesso grezzo nei modi era però risoluto nei propositi. Aveva dei tic avvertibili negli stati di alterazione, le energiche proteste erano frequenti, le sfuriate con cui attaccava glia avversari, inusuali.

Una delle accuse più comuni era l’eccessiva intemperanza, l’impulsività tipica dei contadini, le frasi sprezzanti, divennero presto proverbiali, i gesti clamorosi, passarono alla storia.

Ecco un’ altra delle loro idiozie!” alla parata militare di carri armati a Mosca;“Compagni, la causa di Lenin e’ andata a puttane” commento sulla crisi di Cuba;“A quanto pare lei conosce molto bene il cinese!” risposta a Kennedy che citava Mao. Solo alcune delle più comuni.

Come esperto di agricoltura preparerà il rapporto “Agrocittà”, darà il via alla campagna di coltivazioni delle terre vergini in Kazakistan, favorirà il decentramento industriale e sconfiggerà

gli oppositori riunitisi in gruppo, ma senza eliminarli fisicamente, nel ’58 ottiene anche la carica di primo ministro e l’anno successivo compie la prima e famosa visita negli USA di Eisenhover.

Krusciov da parte sua si rendeva perfettamente conto che la situazione non era ancora matura e cercò di concedere una limitata ma necessaria autonomia produttiva e decisionale nella produzione tenendola al di fuori dai ritardi delle lenti decisioni politiche e istituzionali.

Lanciò quello che gli storici chiamarono processo di revisionismo sovietico ma i tempi e le società spesso non vedono di buon occhio gli eccessivi cambiamenti o le riforme radicali.

Pur essendo riuscito a raggiungere un accordo con gli Usa per la sospensione degli esperimenti nucleari (‘63) venne accusato di aver ceduto all’imperialismo occidentale nella crisi di Cuba, quando invece sappiamo che la soluzione alla crisi fu un accordo comune vantaggioso per ambedue le super potenze mondiali.

Alla conferenza internazionale sul disarmo di Ginevra nel luglio ’55, Krusciov si scagliò contro gli americani prendendo come pretesto l’incidente del cap. Powers pilota dell’U2 precipitato in Russia mentre sorvolava il territorio per una missione di spionaggio, facendo di fatto facendo fallire l’intero vertice e rispedendo a casa tutti i partecipanti con u nulla di fatto.

Nel ’64 è costretto a dimettersi per via della crescente opposizione nel partito e viene rimpiazzato dal duo conservatore Kosygin (primo ministro) e Breznev (segretario). Con quest’ultimo l’URSS farà un balzo indietro di qualche decennio ed imboccherà un lento declino che porterà il paese incapace di riformarsi, alle prime crisi di fine anni settanta e all’auto disintegrazione come sistema politico e confederale socialista nel decennio successivo.

Scompare nel ’71 ma le sue previsioni politiche, si rivelarono esatte, il transito verso una maggiore democratizzazione del paese, il superamento del disgelo, il diritto di critica, la fine degli orrori del passato e i primi timidi segni di apertura al mondo e all’occidente, il viaggio nella Cina di Mao, la ripresa del dialogo con la Jugoslavia di Tito, il lancio del primo Sputnik in orbita, rappresentarono l’avvio di un processo politico che doveva continuare con la modernizzazione del paese, attraverso al partecipazione del popolo e l’apertura con l’esterno. In concreto era riuscito ad avviare solamente il processo di de-stalinizzazione del paese.

Con l’uscita dalla scena di Krusciov le speranze di una ventata di liberalizzazioni ed di aperture si ridimensionarono notevolmente, pressoché nulla mutò nei rapporti con le altre democrazie del blocco socialista o aderenti del patto sovietico, il  ruolo del partito comunista internazionale rimase immutato.

Le condizioni di vita nel paese cominciarono a migliorare ma il Pcus e la nomenclatura mantennero inesorabilmente tutto il suo monopolio e la sua autorità, un potere pressoché intatto e poco scalfito dalle opposizioni. Il Kgb, con la nuova denominazione, continuò a combattere il dissenso e i nemici del popolo ma in modo più velato e con poteri ridotti, senza azioni di massa ma solo interventi individuali mirati.

Per vedere comparire sulle pagine dei media termini come Glasnost e Perestrojka i sovietici ed il mondo intero, dovettero attendere gli anni ’80, e l’arrivo di un altro liberista che tuttavia alla fine sarà, come nelle migliori tradizioni sovietiche, “defenestrato” a favore di un regime, nel nome del popolo sovrano, un curioso parallelismo che lascia riflettere.

La scarpa all’ONU

L’episodio della protesta con una scarpa in mano da parte di Krusciov ancora oggi desta scalpore ed incredulità. Siamo a New York, palazzo di vetro, sede dell’Onu, il 12 ottobre 1960, assemblea generale delle Nazioni Unite, durante un’accesa sessione, si discute sulle “Dichiarazioni sulla concessioni di indipendenza ai paesi coloniali”. Krusciov, dal suo posto a sedere, si toglie una scarpa e la sbatte con forza sul tavolo, per protestare contro le affermazioni del delegato filippino, che lo accusava di comportamenti imperialisti in Europa orientale. Il gesto passerà alla storia.

Fin qui la cronaca dei giornali ma approfondendo il gesto diviene più comprensibile.

I fatti vanno contestualizzati al periodo e alla situazione circostanziata degli eventi.

Da sottolineare che l’abitudine di sbattere i pugni sul banco per evidenziare il disaccordo o la difficoltà di contrastare la tesi in discussione era molto in voga nei paesi dell’est di allora.

Un’abitudine che Krusciov ripeteva spesso, a quanto pare anche nella sala assembleare dell’Onu.

Era consuetudine, quella di mal sopportare le scarpe, specie se nuove e molte volte in occasione di lunghi congressi o posizioni faticose era luogo comune, il toglierle e tenerle sotto il banco per calzarle alla fine della riunione.

Da notare che gli stretti e scomodi banchi dell’aula dell’assemblea rendevano difficili i movimenti per un fisico con un consistente giro vita, come quella del premier sovietico e, a quanto pare, la difficoltà nei movimenti o nei tentativi di rimettersi le scarpe avrebbe mandato su tutte le furie il segretario.

Viktor Sukhodrev, il suo interprete, raccontò invece una altro simpatico aneddoto: Krusciov a furia di sbattere il pugno sul tavolo provocò l’arrestarsi dell’orologio, un vecchio orologio non di valore ma a cui si era affezionato. Irritato dal fatto che un “lacchè capitalista” come li chiamava, avesse provocato la rottura del suo orologio, Krusciov si tolse la scarpa ed inizio a sbatterla sul tavolo.

Il generale del KGB Nikolai Zacharov racconta che Kruscev, dopo essersi consultato con Gromyko, si alzò in piedi e sollevò la mano per chiedere un punto d’ordine al Presidente che però lo ignorò del tutto.

A provocare la furibonda reazione del segretario, comunque, sembra sia stato l’intervento del delegato filippino Lorenzo Sumulong.  Fu allora che egli si tolse la scarpa e iniziò a sbatterla ripetutamente sul tavolo come un metronomo, soltanto allora il presidente dell’assemblea, infastidito dal tam tam lo invitò a parlare.

Quale genere d’indipendenza c’è nelle Filippine” – esplose Krusciov – “Dio solo lo sa.  Tu devi guardare nella lente d’ingrandimento per vedere quella indipendenza! ” Di fatto il delegato filippino forse dimenticava che il proprio paese gode solo di una parziale autonomia (oltre allo status Commonwealth), la piena indipendenza nonostante fosse prevista dagli Usa sin dal ’46, venne interrotta dall’occupazione giapponese del paese durante la guerra e mai ripristinata.

Di fatto le Filippine erano allora un paese a sovranità limitata.

Non crediamo esistano registrazioni o filmati della singolare protesta, che del resto rimane solo una curiosità storica che poco inficia sugli eventi, ma i dubbi che sia accaduto sono pochissimi, e uno come Krusciov dal carattere dirompente, era il tipo da averlo fatto. Solo per evitare l’incidente diplomatico e l’acuirsi della crisi, – siamo in piena guerra fredda le agenzia evitarono di scrivere

la parola “sbattere” ma qualche foto con la scarpa in mano di Krusciov sembra sia circolata.

La nipote, scrivendo le memorie postume, accenna al dettaglio, cercando di attenuare la faccenda dice che l’orologio rottosi, era caduto a terra e il nonno che prediligeva scarpe leggere e senza lacci, le scarpe se le era tolte perchè strette.

Quello che più conta storicamente, sono le proteste di Krusciov verso un’organizzazione internazionale per la sicurezza, che in fondo così come era stata concepita ed organizzata, era,

ed è ancora oggi, una pia illusione. A cinquant’anni dalla sua costituzione, avvenuta nel ‘45 a San Francisco, seppur potendo vantare alcuni innegabili successi, ed innumerevoli interventi militari

in molti paesi, nonostante le forze inviate sotto l’egida dei “caschi blu”, nel complesso si è rivelata una politica fallimentare.