NOAH

NOAH RUSSEL CROWE

Sono passati alcuni anni da quando il cinema non scommetteva in maniera cospicua su una delle tante vicende di carattere religioso contenute nel “Libro dei libri”. Era il 2004 quando uscì nelle sale cinematografiche La Passione di Mel Gibson, discusso e criticato ritratto degli ultimi istanti di vita vissuti da Cristo, dalla sua cattura sino alla crocifissione.

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Ora, a 10 anni esatti di distanza, alcune tra le più influenti case di produzione tra cui la Paramount Pictures hanno attinto dalla Bibbia per portare sul grande schermo, con le fattezze di un vero e proprio kolossal, una delle vicende più appassionanti narrate nell’Antico Testamento. La storia di Noè (Noah) una persona comune che si trova a dover contrastare forze molto più grandi di lui.

La definizione di kolossal ha sempre trovato la sua traduzione in opere cinematografiche dalla mole e dai costi enormi, ma non sempre queste premesse sono andate di pari passo con uno spessore artistico altrettanto elevato. Un racconto biblico, forse più di qualunque altro tipo di storia, dovrebbe essere sviluppato con una qualità artistica commisurata al peso commerciale con cui viene trasposto sul grande schermo.

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Il motivo è sicuramente il dover proporre un prodotto che offra tanto tasso di intrattenimento quanto quello di riflessione, ma soprattutto è raggiungere l’obiettivo di realizzare un’opera che, pur essendo di per sé di scissione culturale e sociale, possa offrire degli ideali condivisibili da tutti.

Darren Aronofsky si è fatto carico di questo arduo compito e a mio parere è riuscito nell’intento. L’ambizione del regista di The Fountain – L’albero della vita, The Wrestler e Il cigno nero è stata infatti di realizzare una pellicola nella quale le persone di tutte le religioni possano trovare un minimo punto di incontro, al’interno di determinati valori universalmente idolatrati.

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Noah (Russel Crowe, una stella di prima grandezza perfetta in ogni ruolo) è un uomo dedito alla sua famiglia e al suo lavoro. Tormentato da visioni su cataclismi futuri, l’agricoltore tenterà con ogni mezzo di realizzare qualcosa che protegga i suoi cari dall’imminente catastrofe che si abbatterà sul mondo intero.

 

Trattandosi di una pellicola ispirata a un testo biblico, inevitabili sono le conseguenti discussioni, critiche e contestazioni in cui incorrere. Ciò nonostante non bisogna mai perdere di vista gli intenti e le modalità con cui il testo viene reinterpretato e rappresentato.

Il film di Aronofsky, nelle nostre sale dal 10 Aprile, è liberamente ispirato alle vicende del Noè delle sacre scritture pur rimanendo fedele alle descrizioni di oggetti e luoghi. Un esempio è la costruzione di una enorme Arca a Long Island, New York, perfettamente coerente col testo; infatti mentre in molte altre rappresentazioni cinematografiche vediamo una gigantesca nave che solca le acque del diluvio universale, qui troviamo una sorta di container, un parallelepipedo in legno, concepito solo per proteggersi dalle acque e non per navigarle, proprio come descritta nella Bibbia.

L’aspetto più importante è ovviamente l’approccio narrativo con cui ci si è accostati al racconto. Ci troviamo di fronte ad un regista e sceneggiatore che come pochi altri ha reso il cosiddetto “cinema d’essai” accessibile a tutti. L’intenzione di Aronofsky, così come dichiarato in molte interviste, è quella infatti di cogliere il fattore umano all’interno della storia più apocalittica mai raccontata. Al di là delle credenze o non credenze, delle religioni e delle fedi, ciò che viene raccontato sono valori quali la famiglia e la ricerca della salvezza (fisica e spirituale). Tematiche che accomunano tutti gli esseri umani in quanto tali.