‘Numero zero’ di Umberto Eco: cattivo giornalismo e cattiva letteratura

'Numero zero' di Umberto Eco: cattivo giornalismo e cattiva letteratura

Milano, 1992. Siamo alla vigilia di ‘Mani pulite’ e quindi di uno spartiacque della storia d’Italia. Colonna è un cinquantenne disilluso dalla vita e che si mantiene galleggiando qua e là nell’industria editoriale: correttore di bozze, articolista e all’occasione anche ghost writer. La sua vita sembra cambiare quando gli viene proposta, dietro lautissimo compenso, la direzione di ”Domani”. Un giornale che non esiste ancora ma voluto da un imprenditore senza scrupoli che infatti vuole usarlo solo come grimaldello per entrare negli ambienti dell’alta finanza. Al protagonista spetta solo il compito di allestire una squadra all’altezza del compito prefissato: sfondare a ogni costo e soprattutto a scapito di ogni pretesa deontologica.
‘Numero zero‘ si rivelerà così il tipico romanzo di Eco, ovvero un pamphlet mascherato. Lo si può leggere infatti come una sorta di vademecum del cattivo giornalismo, come una storia del giornalismo italiano ma anche come un riassunto della storia d’Italia dal dopoguerra al ’92 ragionato dalla cultura popolare. L’intento di fondo del romanzo è dimostrare quanto il giornalismo abbia rispecchiato i tratti moralmente più bassi dell’antropologia italiana anziché farsene coscienza critica. Ritornano alcuni dei temi tipici della narrativa echiana, fra cui anche la satira nei riguardi della cultura del ‘complotto’ già protagonista nel precedente ‘Il cimitero di Praga’ (2010).

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Sui libri di Umberto Eco aleggia sempre una sorta di equivoco. E’ sempre difficile giudicarli con serenità e soprattutto sono ben pochi i critici di livello disposti a sottoporli a quello che dovrebbe essere il loro mestiere: la critica. Questo perché, conoscendo il personaggio in questione e quindi i suoi intelligenza e gusto per i marchingegni narrativi cervellotici, tutti temono  di passare per incompetenti nel dare a un suo libro un giudizio negativo. Quando non è possibile restare sul vago, allora fra i commentatori si sparge la smania contraria per il panegirico. Lodi al genio di Eco che ce l’ha fatta ancora una volta. Il suo libro, anche se non sembra granché di primo acchito, analizzato più a fondo risulterà sempre lo scrigno di inestimabili tesori segreti.. basta forzare un po’ la mano nelle interpretazioni. Prendendo magari in considerazione quelle non previste dallo stesso autore. Il quale nel frattempo sorride compiaciuto di fronte all’accoglienza dei suoi libri e non sente più da anni la necessità di impegnarsi a farne uno di grande valore. Oh, per carità: non nego che a qualcuno questo ‘Numero zero’ possa essere davvero piaciuto.
In ogni caso chi scrive afferma senza mezzi termini che ‘Numero zero’ è un libro di qualità modesta. Ormai lontanissimo dalle prove dell’Eco migliore. Le premesse sono interessanti ma lo svolgimento insufficiente. Il semiologo d’Alessandria vuole mettere tanta carne al fuoco e alla fine combina un pastrocchio senza capo né coda. Le idee, le suggestioni, i vortici verbali e le solite citazioni (e autocitazioni…) abbondano ma vengono buttate qui e là senza criterio o con l’unico criterio di tenere viva, come in una specie di accanimento terapeutico, una struttura narrativa che da sola crollerebbe. Nonostante ‘Numero zero’ sia per giunta il romanzo più breve di Eco (solo 144 p.). Niente da fare. Brutta anche la copertina. Ci rivediamo un’altra volta, Professore.