Quando i fondi mancano: l’arco di Tito reinterrato

La storia si ripete e, hainoi, quando si tratta di patrimonio culturale non siamo forieri di buone notizie. Se solo ieri si celebrava impettiti l’orgoglio italiano, oggi un po’ di vergogna serpeggia e no, non la si può nascondere come i resti dell’arco di Tito.

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Il ritrovamento di alcuni grandi frammenti architettonici in marmo lunense appartenenti alla zona dell’attico e alla trabeazione dell’arco, è avvenuto durante i lavori di restauro al Circo Massimo, portati avanti dalla sovrintendenza comunale capitolina, ma non avranno la fortuna di mostrarsi al pubblico. Motivo? Mancanza di fondi!

L’arco misurava un’ampiezza di 17 metri e una profondità di 15, le colonne dovevano essere alte circa 10 metri. Costruito dopo la morte dell’imperatore, il ritrovamento dei frammenti è avvenuto durante uno scavo al di sotto della falda acquifera che ricopre molte realtà archeologiche romane.

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Purtroppo però mancano le risorse economiche in grado di eliminare le infiltrazioni d’acqua e permettere il restauro dell’arco. Il processo di ricostruzione, detto anastilosi, è infatti molto complesso e costoso! Ergo, a giorni tutto ciò che concerne la preziosa scoperta verrà reinterrato per proteggerlo da ulteriori danni.

Insomma, uno pensa che il problema sia alla base: non ci sono soldi, non si scava! Ma la realtà è molto più grave perché il nesso non sta tanto nell’intraprendere lavori, bensì nel riuscire poi a mantenere le importanti scoperte che emergono.

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Così gli archeologi prima scavano e poi reinterrano e l’Italia si mostra ancora una volta in tutto il suo anacronismo.