Riforma del Senato: al voto gli emendamenti, molte dissidenze tra dem e forzisti

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Il programma di oggi in commissione affari costituzionali al Senato era chiaro: cominciare alle 16:00 la votazione dei circa 600 emendamenti alla riforma costituzionale del Senato, sul testo rivisitato dai relatori Angela Finocchiaro e Roberto Calderoli. Nei piani del governo il testo sarebbe dovuto approdare in aula giovedì 3 luglio. E’ molto probabile che la data venga posticipata di una, se non due settimane.

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Renzi e Berlusconi hanno un tacito accordo in proposito, dato che entrambi devono risolvere i problemi interni ai propri partiti. Domani toccherà al Partito Democratico che affronterà un’assemblea dei gruppi parlamentari, nella quale la dirigenza del Pd cercherà di dialogare con due fasce diverse di dissidenti. La prima la conosciamo da tempo e si tratta dei 16 senatori che si sono autosospesi dopo l’espulsione di Corradino Mineo dalla commissione affari costituzionali. La loro richiesta principale è quella di un senato elettivo, prospettiva trasversale che trova consensi anche nelle opposizioni.

Riforme: commissione riunita, non vicino accordo su odg

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A questi 16 più 1 si sono aggiunti altri 30 senatori democratici di orientamento bersaniano-lettiano, che si preoccupano di un problema non inferiore rispetto all’elezione diretta dei senatori. L’emendamento 1.011 di Miguel Gotor e Migliavacca pone la questione del bilanciamento dei poteri nel nuovo assetto previsto dal testo Boschi-Renzi. In particolare riguardo all’elezione del csm, della consulta e soprattutto del presidente della repubblica. Portando i senatori a sole 100 unità e con 630 deputati, dando per scontato il sistema maggioritario dell’Italicum, il partito vincente potrebbe eleggere da sé il capo dello stato con appena 33 voti in più. Ciò significherebbe una specie di “presidenzialismo indiretto” per cui la formazione vincente può piazzare da sola sia il capo di stato che il presidente del consiglio, come accade in Russia.

«Il Pd e il governo non possono non essere consapevoli della gravità dei rischi che si corrono cambiando la platea degli elettori del colle», dice Gotor. A tal proposito vengono prospettate due opzioni negli emendamenti: la prima prevede la riduzione a 500 deputati, in modo da bilanciare meglio i numeri di Montecitorio con quelli di Palazzo Madama; altrimenti c’è la proposta di alzare a 1000 gli aventi diritto all’elezione del presidente della repubblica, aggiungendo 100 delegati regionali, 108 sindaci di capoluoghi e i 73 europarlamentari.

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Al momento la commissione può contare su una maggioranza traballante di 15 su 29. La fronda più consistente si trova in Forza Italia, dove ben 37 senatori hanno firmato il ddl Minzolini,  che segue la linea di Mineo-Chiti nel Pd. Con i 5 stelle e Sel il numero degli oppositori sale a un centinaio, un pericolo da non sottovalutare. Anche Brunetta, capogruppo alla camera rema controcorrente. Rimprovera al Pd di non aver rispettato il patto del Nazareno per cui del senato si sarebbe dovuto discutere solo dopo l’approvazione definitiva dell’Italicum. Accusa il compagno di partito Verdini di essere diventato lo zerbino del Pd, e di aver contribuito al testo di una riforma«scritta con i piedi». Berlusconi cercherà con una riunione giovedì di placare i falchi in Forza Italia.

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Dai vertici renziani del governo arrivano i soliti rimbecchi; la vice segretaria del Partito Democratico, Debora Serrachianni, insiste sulla responsabilità di cui sono stati investiti prima alle europee e poi davanti al consiglio UE.  «Abbiamo raggiunto un punto di equilibrio, dopo un lungo confronto» afferma contro chi vorrebbe fare un passo indietro e ricominciare da capo. Non entra nel merito dei singoli emendamenti, anche perché molti rispecchiano posizioni classiche del partito, su cui Renzi sarebbe stato costretto a cedere. I “talebani” come Pippo Civati invece sono convitni che un’apertura verso il movimento 5 stelle sarebbe auspicabile e più condivisibile per un partito di sinistra. Comunque vada, dovremo aspettare almeno la fine di luglio per vedere se le riforme costituzionali usciranno dal pantano. Sperando che abbiano un bell’aspetto.