La Sindrome di Munchausen per Procura

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Subdola e diabolica la Sindrome di Munchausen per Procura (Munchausen Syndrome by Proxy) si insinua negli interstizi della diade genitore-figlio, sovvertendone le dinamiche relazionali e portando all’identificazione di due monadi i cui spazi vitali, tuttavia, continuano a comunicare in funzione di una logica distorta che rappresenta il substrato di questa particolare forma di violenza. Con quest’ultimo termine, riproponendo la definizione dell’antropologa Françoise Héritier, si intende «qualsiasi costrizione di natura fisica o psicologica finalizzata a provocare danno, sofferenza o morte». Dal punto di vista etimologico il vocabolo ha radici indoeuropee: dal sanscrito jya al latino vis è evidente il riferimento al concetto di forza, di cui la violenza rappresenta una delle possibili espressioni, potendo quindi esser definita come una forma di costrizione che si afferma tramite atti sia fisici che psicologici, evidenziandone implicitamente il carattere relazionale. La violenza può dunque essere considerata una forma di misconoscimento dell’Altro, la sublimazione di un’autoreferenzialità che ostacola qualsiasi rapporto dialogico in funzione della preservazione della propria identità, considerata vulnerabile dalla differenza ontologica altrui.

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Nel linguaggio quotidiano possiamo, tuttavia, riscontrare un abuso del termine in questione, soprattutto in relazione a vocaboli come forza, aggressività e distruttività. Del primo è opportuno evidenziare la valenza sostanzialmente neutrale, tanto che può essere utilizzato in modo sia dispregiativo che virtuoso, senza scalfirne la legittimità al suo ricorso: l’uso della forza da parte delle pubbliche autorità per ristabilire l’ordine in occasione di eventi dannosi per la pax socialis non solo è giustificato ma addirittura è riconosciuto come necessario. Del secondo – derivante dal latino aggredi che significa andare verso, avvicinarsi in modo determinato – è opportuno mettere in risalto il carattere adattivo, espressione di un impulso, programmato filogeneticamente, ad attaccare qualora siano minacciati interessi vitali, per distinguerlo dalla distruttività, propria della specie umana, nella quale viene a perdersi ogni finalizzazione utilitaristica, elemento fondamentale della violenza. Nella distruttività si smarrisce ogni prospettiva di vantaggio, di tornaconto personale: ne fanno parte atti apparentemente gratuiti e che magari culminano nell’auto-soppressione, come nel caso dell’omicidio-suicidio. Tra chi elimina un rivale per proteggere i propri interessi e chi uccide l’altro per poi togliersi la vita la differenza è notevole, poiché in quest’ultimo caso si annulla ogni potenziale utilità del gesto che estrinseca il proprio carattere fulmineo, incomprensibile e imprevedibile.

imagesLa Sindrome di Munchausen per Procura rappresenta quindi una vera e propria forma di violenza nella quale l’autore, per soddisfare le pressanti richieste del diabolico Narciso che si è impossessato della sua psiche, dopo aver abilmente circuito tutti coloro che gli stanno intorno, infligge alla vittima una serie di sofferenze che difficilmente non si ripercuoteranno nello sviluppo della propria persona e nella capacità di instaurare rapporti significativi con l’Altro. E’ la triste cronaca di un tormento, di un’inquietudine amorevolmente somministrata a piccole dosi con cui cerca di proteggere, a suo modo, ciò che ha di più caro al mondo, carne della sua carne, sangue del suo sangue.