U.S. Open – Nadal campione e i 54 colpi

Lo scambio di 54 colpi, giocati con una velocità e una forza più da androidi che da atleti, tra Rafael Nadal e Novak Djokovic non è solo uno dei più belli per intensità, tenacia e tecnica visti sul circuito negli ultimi anni, ma appere nella cornice della finale US Open come il manifesto di una nuova epoca per il tennis. Piaccia o no le cose sono cambiate, gli anni dell’estro di Federer sono ormai alle spalle.

È strano parlare di novità considerando che sull’Artur Ashe si contavano una somma di 18 titoli slam (12 Nadal e 6 Djokovic) che inevitabilmente sarebbero diventati 19 al termine del match. Lo spettacolo che gli appassionati hanno potuto ammirare ieri nel tempio del tennis americano però è qualcosa di diverso rispetto alle precedenti 36 sfide tra Nadal e Djokovic, che si erano già incontrati 5 volte in una finale slam, è una dimostrazione di come il tennis sia in continua evoluzione e serve da monito alle nuove generazioni: per vincere in quest’epoca non basta essere dei campioni, bisogna essere perfetti. Quello scambio, quei 54 colpi senza discese a rete in 80 secondi, ci mostrano nel contesto di una partita giocata ad un ritmo fiammeggiante come ci si trovi sempre più davanti ad uno sport che si combatte come una guerra di logoramento. I due campioni si sono affrontati mettendo in mostra capacità atletiche, tecniche e mentali probabilmente mai viste prima non tanto singolarmente, quanto nella loro combinazione.

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La sensazione è ancora più stupefacente se si pensa che scaturisce da una partita che non è finita al quinto al set, come ad esempio la sfida tra i due nella finale di Melbourne del 2012, e che tutto sommato ha proposto un primo e un quarto set a senso unico, risulato finale 6-2 3-6 6-4 6-1 in favore dello spagnolo. L’evolversi della partità però, in particolare nei combattutissimi secondo e terzo set, ha evidenziato come a soccombere sia chi per primo mostra qualche crepa. Djokovic ha giocato una partita sopra le righe con vincenti da applausi, grande varietà di colpi, difese da lottore vero e una condizione fisica formato 2011. Si è dovuto inchinare solamente perchè dall’altra parte della rete ieri a Flushing Meadows ha trovato un Nadal in versione Cyborg, capace di sbagliare pochissimo nonostante la grande pressione portata dal serbo e di essere spietato nei momenti decisivi. Dopo essere rientrato in partita giocando un grande secondo set Djokovic ha avuto tante occasioni per portare a casa anche il terzo, ma al minimo segno di debolezza il Maiorchino si è avventato su di lui ottenendo un vantaggio psicologico oltre che mentale impossibile da colmare. Nadal non ha mostrato mai un calo di concentrazione ne di rendimento lungo le oltre tre ore della finale ed ha così costretto l’avversario ad una serie di fuori giri che lo hanno fiaccato mentre lui riusciva a mantenere una solidità granitica nei colpi e un focus mentale totalizzante che probabilmente è stato la sua vera arma segreta in una carriera che all’età di 27 lo vede ad un passo dai 14 slam di Sampras non gli preclude l’attacco ai 17 di Federer. Lo spagnolo oltre al lato mentale ieri ha sfoggiato un tennis ai limiti della perfezione, onore alla sua tenacia che dopo i 7 mesi di inattività lo ha portato a crescere e migliorarsi spostanto ulteriormente in alto l’asticella.

Lo show di questa finale, e in particolare gli scambi da console dei due set centrali, sembrano certificare in maniera definitiva una tendenza, il tennista del nuovo millennio deve essere un atleta totale. Con le nuove tecnologie applicate ai materiali e alle superfici e i nuovi metodi di allenamento lo spazio per l’errore o per l’incompletezza si riduce al minimo, oggi nel circuito maschile un campione con gravi pecche in un settore del gioco è impensabile, e altrettanto vale per la solidità mentale. Le radici di questo genere di evoluzione però non vanno cercate in tempi troppo recenti, ma piuttosto si tratta di un percorso che il tennis come sport e come movimento ha deciso di intraprendere con l’ingresso dei nuovi materiali sin dalla prima metà degli anni ’80. Tornano alla mente atleti come Ivan Lendl, giocatori costruiti ‘in laboratorio’, ma anche caratteristiche come la potenza di Becker, il servizio di Sampras, la risposta di Agassi, la combattività di Connors, con il sospetto che oggi per vincere non sia sufficente possederne solo una, ma sia necessiara una combinazione ben bilanciata di ognuna di queste. Per questo lavorano ogni giorno i campioni di oggi e di domani. L’idea è che l’epoca di Federer, in cui per quasi un decennio abbiamo potuto godere anche della fantasia e dell’improvvisazione di un campione dotato di un gioco sopra le righe, sia stata una straordinaria parantesi in un processo innescato ed ormai inarrestabile. Onore a chi assieme all’inesonarbile scorrere del tempo è riuscito a farsi spazio e ad imporre un tennis che non lascia spazio a nostalgie, ma è tutto teso verso il futuro, verso l’atleta che verrà e che oggi trova due mirabili modelli in Rafael Nadal e Novak Djokovic e il suo sigillo in quei 54 colpi.