Iraq: invasione degli estremisti dell’Isis, terroristi alle porte di Bagdad

Fighters of  al-Qaeda linked Islamic State of Iraq and the Levant parade at Syrian town of Tel Abyad

Una nuova crisi sta scuotendo il medio-oriente, in particolare lo stato dell’ Iraq. Si chiama ISIS (stato islamico dell’ Iraq e della Siria): un’organizzazione di estremisti jihadisti nata in seno ad Al Qaeda, di fede sunnita.

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Con un’azione rapidissima e inaspettata, avviata, il 10 giugno i miliziani dell’ISIS hanno preso gran parte del nord del paese, arrivando a una decina di chilometri da Bagdad, dove è asserragliato il governo sciita del premier Nouri Al Maliki. La capitale è in stato d’allerta da sabato, ma non è rimasta a guardare e sta organizzando una controffensiva. Migliaia sono i soldati fuggiti dalle città del nord, abbandonando armamenti, mezzi e delle volte anche uniformi. Il premier sta cercando di radunarli sotto la minaccia della pena di morte per i disertori.

I ribelli estremisti hanno trovato poca resistenza, anche in città chiave come Tikrit e Mosul. Gli scontri hanno prodotto una mole di sfollati pari a un milione secondo l’Onu. La maggior parte sciiti, spaventati dalle ripercussioni annunciate dall’ISIS. Il pericolo più grande, in questo senso, è il riaccendersi dell’antico rancore tra le due confessioni nella popolazione stessa. Alcune immagini scandalose diffuse dall’ISIS sui social network ritraggono delle fosse comuni piene di cadaveri di soldati sciiti; i sunniti sarebbero stati graziati. Il rischio di una spaccatura netta nell’ Iraq è incombente.

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Come è ormai più che evidente che i terroristi siano stati appoggiati dai capi tribù sunniti locali e che nelle loro file militino molti degli ex esponenti del partito Baath di Saddam Houssein. Secondo un giornalista del New York Times sarebbero questi ultimi la vera mente dell’operazione. Dopo essere stati destituiti e dispersi dall’invasione americana non avrebbero mai smesso di riorganizzarsi e di covare nell’ombra assieme ad Al Qaeda.

iraqLa reazione più eclatante è stato l’enorme afflusso a Bagdad di volontari sciiti, pronti a prendere le armi per difendere l’attuale
governo. L’ayatollah Ali Al Sistani, la più alta autorità religiosa sciita, aveva indirizzato venerdì un appello alla popolazione irachena a contrastare gli insorti. Ora il compito del primo ministro sarebbe quello di indirizzare queste forze verso i terroristi, evitando che i volontari commettano soprusi verso la popolazione sunnita. Intanto in questi giorni si sono svolte parate di volontari sciiti armati per le strade di Bagdad, uno spettacolo al limite del fanatismo.

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Alcune città sono state riconquistate; l’offensiva diretta alla capitale sembra scongiurata per il momento. Da Nord sono intervenuti i curdi per riprendere la città petrolifera di Kirkuk. Il vicino Iran si è detto pronto a intervenire in caso di richiesta ufficiale. In realtà sarebbero già qualche migliaio gli iraniani pasdaran che supportano l’esercito regolare iracheno. Anche gli Stati Uniti guardano con preoccupazione all’ Iraq. Il presidente Obama ha detto in una breve conferenza stampa che gli americani non escludono un intervento per proteggere i propri interessi petroliferi nel paese e debellare ogni minaccia terroristica. Il leader dell’ISIS, Bakr Al Baghdadi, è considerato infatti il successore di Bin Laden, e non ha nascosto la sua profonda avversione all’Occidente.

Una flotta statunitense, composta da un cacciatorpediniere, una portaerei e un incrociatore, è già stazionata nel golfo Persico. Obama ha garantito che non verranno inviate truppe di terra. Gli attacchi potranno essere condotti solo da droni e caccia. L’ingerenza americana potrebbe però essere un fattore di ulteriore destabilizzazione, come lo fu nel 2003,durante la presidenza Bush.

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Arriva invece imprevedibile un’apertura del premier iraniano Hassan Rohani agli Stati Uniti, da sempre nemici storici, per contrastare l’ISIS. Gli equilibri geopolitici potrebbero cambiare persino in Siria dove lo stesso gruppo estremista si è inserito nella ribellione al regime di Bashar Al Assad. Per i miliziani dell’ISIS questo è stato un terreno di prova della loro forza. Sono addirittura numerosi i casi in cui gli estremisti hanno trucidato ribelli siriani più moderati.