Perché una persona dimagrisce facilmente mentre un’altra, pur seguendo la stessa dieta e allenandosi con costanza, ottiene risultati minimi? La risposta, secondo medici come l’internista Stefan Wöhrer, sta sempre di più nel profilo genetico individuale. Non si tratta di forza di volontà o di “metodo giusto o sbagliato”, ma di quanto il modo in cui mangiamo sia allineato o meno al nostro DNA. Da qui nasce il concetto di alimentazione personalizzata: un approccio che parte dai geni per costruire un piano nutrizionale su misura.
Nutrigenomica: quando la dieta parla ai geni
La nutrigenomica studia come i nutrienti e i composti bioattivi degli alimenti influenzano l’espressione dei nostri geni. In altre parole, ciò che mangiamo non si limita a fornirci energia, ma invia segnali molecolari che possono “accendere” o “spegnere” specifiche funzioni geniche. Questo filone di ricerca ha trovato spazio crescente in medicina preventiva e in dietologia, mostrando come una stessa dieta possa spingere il corpo verso salute o squilibrio a seconda del patrimonio genetico di ciascuno.
Per approfondire il tema, molte sintesi divulgative spiegano in modo chiaro i legami tra genomica e alimentazione personalizzata, come nel caso della voce dedicata alla nutrigenomica disponibile su questa pagina di approfondimento, utile per comprendere il quadro scientifico di base.
Nutrigenetica: perché reagiamo in modo diverso allo stesso piatto
Accanto alla nutrigenomica, la nutrigenetica si occupa dell’altro lato della medaglia: come le varianti genetiche influenzano il modo in cui il nostro organismo gestisce i nutrienti. Alcuni esempi pratici:
- c’è chi ossida i grassi in modo efficiente e chi li accumula più facilmente;
- c’è chi metabolizza i carboidrati senza grandi oscillazioni glicemiche e chi va incontro a picchi di zucchero nel sangue;
- alcune persone tollerano bene un apporto maggiore di grassi saturi, altre mostrano un rapido aumento di colesterolo LDL.
Queste differenze nascono spesso da piccoli cambiamenti nel DNA (polimorfismi) che modificano l’attività di enzimi e recettori coinvolti nel metabolismo. Una “dieta standard”, pensata per la media della popolazione, può risultare efficace solo per una parte delle persone, lasciando gli altri con la sensazione di “fare tutto giusto” senza vedere risultati concreti.
Dieta personalizzata: dal test del DNA al piatto di ogni giorno
Nel nuovo approccio proposto da Wöhrer e da altri specialisti, il punto di partenza non è più la moda del momento, ma la valutazione del profilo genetico. Attraverso test specifici è possibile individuare:
- se si tende a reagire meglio a una distribuzione più alta di grassi “buoni” o di carboidrati complessi;
- se la sensibilità all’insulina è particolarmente delicata e richiede maggiore attenzione al carico glicemico;
- se il metabolismo di caffeina, alcol, sale o determinati micronutrienti è più lento o più rapido della media;
- se esiste una predisposizione a carenze (per esempio di vitamina D, folati o ferro) che va compensata con scelte mirate.
A partire da queste informazioni, il professionista può costruire una dieta che non sia un modello generico da “copiare e incollare”, ma una vera strategia individuale: quantità, orari dei pasti, distribuzione dei macronutrienti e persino la scelta degli alimenti vengono calibrati sui punti di forza e sui punti deboli del singolo organismo.
Oltre le calorie: cosa osservare davvero
Anche senza un test genetico immediatamente disponibile, il primo passo verso un’alimentazione più adatta al proprio corpo è l’auto-osservazione sistematica. Un diario alimentare “intelligente” non si limita a registrare cosa e quanto si mangia, ma anche:
- livello di energia nelle ore successive al pasto;
- presenza di gonfiore, pesantezza o fame precoce;
- oscillazioni dell’umore e della concentrazione;
- variazioni di peso e di circonferenze corporee nel tempo.
Incrociando questi dati con la qualità degli alimenti, il timing dei pasti e il tipo di dieta seguita, emergono pattern preziosi: cibi che “spengono” l’energia, combinazioni che favoriscono il senso di sazietà, abitudini che sembrano correlarsi ad aumenti di peso o a stalli prolungati.
Dieta e genetica: come cambiano le regole del gioco
L’idea che “basta volerlo” per dimagrire perde forza alla luce delle evidenze genetiche. La predisposizione influisce su:
- quanta fame percepiamo e quanto in fretta ci saziamo;
- quali cibi tendiamo a desiderare di più (dolce, salato, grasso);
- come distribuiamo il grasso corporeo (viscerale, sottocutaneo, gluteo-femorale);
- come reagiamo allo sport in termini di composizione corporea.
Questo non significa che la genetica “condanni” a restare sovrappeso, ma che serve una strategia più fine, meno basata sullo sforzo cieco e più centrata sull’ascolto del corpo, sui dati e, quando possibile, sui test genetici. In quest’ottica, il ruolo del professionista non è imporre schemi rigidi, ma tradurre in pratica i segnali del DNA, della storia clinica e delle reazioni quotidiane, aiutando a costruire un rapporto più realistico e sostenibile con il cibo.











