Paolo Sorrentino e il suo cinema

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Il nostro autore di film, Paolo Sorrentino, più che un regista, e prima di essere tale, è uno di quelli  che sanno come materializzare racconti  autentici in  visionari  fotogrammi della passione dell’esistere, quando ” esistere” significa capire come e perché  bisogna  essere vivi. Ne “l’uomo in più” il grottesco, unito a una  realtà che non si trova, si  arrangia  e raggiunge  l’apice nel monologo finale  di Antonio “tony” Pisapia, decantato con una  maestria recitativa senza fronzoli  da un  Tony Servillo spettacoloso.

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Sorrentino nei suoi spunti filmici migliori pare aspettare “il colpo rapido” di una  grazia  dalla moralità “amorale”, divisa fra veri  sentimenti “buoni”  e un reale  cinismo spicciolo, curando sempre la scena, i dettagli dell’ambiente,  la scenografia, che dev’essere descrittiva fino, a volte, superare i dialoghi,  quasi pittorica . Il regista napoletano ricerca una scrittura fra i fotogrammi , la fa, per poi riportarla in immagini, silenzi, e suoni. Il suo è un cinema che continua, inframmezzato da momenti di attesa, quella capacità italiana che negli ultimi decenni cinematografici non trovava  autori cosi incisivamente efficaci nel descrivere il realismo intimista dei nostri tempi moderni.

Per l’ultimo lavoro, dopo le ovazioni dell’oscar americano, che lo hanno legittimato – come merita- a non dover dimostrare di  più , di quello che  ha già dimostrato  si prende il vezzo del tempo che passa, lui, giovane quarantacinquenne non ancora maturo per questo tipo d’anzianità

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Una giovinezza che sfuma, un tempo giovane che sfugge, per  guardare guardandosi indietro con la malinconia di un futuro che non si vede. Allora, ecco, prende due mostri sacri del cinema internazionale ( Harvey Keitel, Michael Caine ), e li usa per esorcizzare questo suo periodo temporale.

Il tempo della  grande bellezza è già finito, si volta subito pagina. Si manipola ” da sé”  nel racconto di un immagine  persecutoria che lo attanagliava. Se la leva “da dentro” con la sua capacità introspettiva, per esaudirla e definirla  nell’arte cinematografica,    ancora una volta lo fa  attraverso un’altra scrittura, per farla appunto “cinema”,  e infine liberarsene. Metti un Paolo Sorrentino .