Salasso tasse locali: in 10 anni addizionali regionali a +66%

Per il 2014, infatti, le Regioni potranno decidere ulteriori incrementi del balzello Irpef di loro competenza fino a 0,6 punti, portando l’aliquota massima al 2,33%. Il principale responsabile dell’aumento degli sempre insaziabili enti locali, vero pozzo senza fondo dell’economia pubblica, il sistema sanitaria divenuto di competenza regionale e da allora una spesa fuori controllo.

Dal 2011 anno del tanto decantato federalismo fiscale di Calderoni, le aliquote ordinarie sono aumentate vertiginosamente, si è poi intervenuto con il “salva Italia” del professor Monti che elevò a 1,23 % e la spending review  del 2012 che anticipò di un anno, al 2013 gli aumenti previsti per le otto regioni che accusavano deficit nel settore sanitario. Per le addizionali comunali si calcola il raddoppio nei soli ultimi otto anni, l’aliquota era inizialmente fissata  in 0,7 % dell’imponibile; mentre per le regionali un più modesto + 66 %. Comunque sia, stando alle cifre fornite dalla Cisl di ieri, il gettito delle addizionali vale ormai quasi 15 miliardi e mezzo (11,5 quello delle regionali e 4 quello delle comunali), con un aumento di oltre 4 miliardi sul 2009 una cifra di non poco conto.

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Fra i capoluoghi di provincia, la più generosa con i propri contribuenti è Gorizia, l’addizionale comunale Irpef, è stata abolita nel 2012 dal sindaco di centrodestra Ettore Romoli. Maglia nera invece va a Roma che si rivela la capitale delle tasse, dove l’aliquota è addirittura allo 0,9% (già in deroga al tetto dello 0,8% previsto)  in un recente decreto del governo autorizza il comune ad arrivare ad imporre fino all’1,2% (il sindaco di centrosinistra Ignazio Marino ha promesso che non lo farà, ma è una promessa politica) per coprire il buco di 867 milioni presente nel bilancio ed ereditato, a sua dire, dalle passate amministrazioni.

Sono invece solo 5 le regioni che applicano per l’addizionale regionale l’aliquota base, fissata al 1,23% mentre sono tre gli enti locali che ne applicano una media di 1,73 % e sempre tre le regioni che ricorreranno a quella massima il 2,03 %. Per un impiegato con un reddito annuo di 32.000 euro (che corrisponde ad una retribuzione mensile netta di quasi 1.840 euro) spalmato su un minimo di 9 o 11 mensilità, significa 184 euro mensili più l’addizionale comunale al municipio di residenza. All’aumento dell’ imposta netta sopra indicata si deve aggiungere la mancata corresponsione del drenaggio fiscale, il mancato adeguamento degli stipendi e delle detrazioni fiscali, l’assenza per dipendenti e pensionati di una reale crescita reddituale, l’incisività dell’aumento dell’Iva, il carovita persistente, ecco giungere ad una perdita accumulata che ben descrive l’impoverimento generale a cui stiamo assistendo nel paese.