L’Alzheimer è una delle malattie neurodegenerative più diffuse al mondo e rappresenta una sfida crescente per i sistemi sanitari di tutti i Paesi. Negli ultimi anni l’attenzione della comunità scientifica si è concentrata sempre di più su un protagonista inatteso: le microglia, le cellule immunitarie residenti del cervello. Nuovi studi indicano che queste “sentinelle” non sono soltanto spettatrici del danno neuronale, ma possono diventare alleate nella difesa del tessuto nervoso, aprendo scenari innovativi per prevenire e rallentare la progressione della patologia.
Queste scoperte si inseriscono in un quadro in cui l’invecchiamento della popolazione rende urgente individuare strategie efficaci non solo per curare, ma anche per ritardare l’esordio dei sintomi cognitivi. La ricerca sulle microglia aiuta a ripensare l’Alzheimer come una malattia in cui il sistema immunitario del cervello gioca un ruolo centrale, e non solo come un semplice accumulo di proteine tossiche.
Che cos’è l’Alzheimer e perché il cervello si ammala
La malattia di Alzheimer è caratterizzata da un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive: memoria, linguaggio, orientamento e capacità di organizzare le attività quotidiane. A livello biologico si osservano due segni principali: gli ammassi di proteina amiloide-beta tra i neuroni e i grovigli neurofibrillari di proteina tau all’interno delle cellule nervose. Queste alterazioni compromettono la comunicazione tra le cellule, portando alla loro morte e alla perdita di volume cerebrale.
Oggi si ritiene che il processo inizi molti anni prima dei primi sintomi, quando il cervello cerca ancora di compensare il danno. Proprio in questa fase silenziosa le microglia possono fare la differenza, perché sono le prime a “vedere” gli accumuli anomali di proteine e a decidere come reagire.
Per una panoramica chiara e aggiornata sulla malattia, è possibile consultare anche la scheda divulgativa dell’Alzheimer’s Association.
Microglia: le sentinelle immunitarie del sistema nervoso
Le microglia sono cellule specializzate che pattugliano in continuazione il tessuto nervoso, pronte a intervenire quando compaiono infezioni, traumi o accumuli di sostanze tossiche. Funzionano come piccoli “spazzini”: inglobano detriti cellulari, sinapsi danneggiate e proteine in eccesso, contribuendo a mantenere un ambiente sano per i neuroni.
In condizioni di equilibrio, queste cellule restano in uno stato di sorveglianza, con ramificazioni sottili che esplorano il microambiente. Quando percepiscono un pericolo, cambiano forma, si attivano e rilasciano molecole infiammatorie o protettive, a seconda del tipo di stimolo.
Come si trasformano le microglia nell’Alzheimer
Nei cervelli colpiti da Alzheimer, le microglia vengono attirate dagli aggregati di amiloide-beta e tau. Alcune di esse circondano le placche, nel tentativo di isolarle e “digerirle”. In certi casi questo intervento è efficace e rallenta il danno. In altri casi la risposta risulta eccessiva e contribuisce a un’infiammazione cronica che danneggia ulteriormente i neuroni.
Studi recenti descrivono sottotipi di microglia con funzioni differenti: alcune più infiammatorie, altre più protettive. Una sottoclasse in particolare mostra livelli ridotti della proteina PU.1 e un’espressione più alta di CD28, due elementi che si collegano a una maggiore capacità di contenere l’accumulo di amiloide-beta e tau. Comprendere come mantenere attivo questo profilo protettivo potrebbe diventare la chiave per nuove terapie mirate.
Alzheimer e microglia protettive: cosa hanno scoperto gli scienziati
Nei modelli sperimentali, la presenza di microglia “neuroprotettive” è associata a un minor carico di placche e grovigli proteici. Quando i ricercatori bloccano molecole come CD28, il numero di microglia infiammatorie aumenta, mentre le varianti protettive diminuiscono e gli aggregati tossici crescono. Il quadro che emerge è quello di un sistema immunitario cerebrale in bilico: se prevale la modalità infiammatoria, il danno accelera; se si sostiene la modalità protettiva, il cervello resiste meglio.
Questi risultati spingono a considerare farmaci in grado di modulare selettivamente le microglia, anziché spegnere in blocco l’infiammazione. L’obiettivo sarebbe “riprogrammare” le cellule verso uno stato di pulizia e difesa, senza compromettere la loro capacità di rispondere ad altri pericoli.
Dalla scoperta in laboratorio alle possibili terapie mirate
Trasformare queste intuizioni in trattamenti concreti richiede diversi passaggi. Prima di tutto, bisogna confermare che gli stessi sottotipi di microglia osservati negli animali siano presenti anche nel cervello umano, e che svolgano funzioni simili. Servono poi molecole farmacologiche che agiscano in modo preciso sui bersagli identificati, come PU.1 o CD28, senza alterare altri processi vitali.
Un’idea allo studio è l’uso di piccole molecole o anticorpi che favoriscano la sopravvivenza e l’attività delle microglia protettive, aiutandole a rimuovere più efficacemente amiloide-beta e tau. Un’altra strategia potrebbe puntare a combinare questi approcci con le terapie esistenti, come gli anticorpi anti-amiloide, per ottenere un effetto sinergico.
Stile di vita, prevenzione e ruolo dell’infiammazione
Il legame tra sistema immunitario e cervello non riguarda solo le microglia. Fattori di rischio come obesità, diabete, ipertensione e sedentarietà aumentano l’infiammazione sistemica, che a sua volta influenza negativamente l’ambiente cerebrale. Ridurre questi fattori con stili di vita sani può contribuire a mantenere le microglia in uno stato più equilibrato.
- Attività fisica regolare, anche moderata, che migliora l’irrorazione sanguigna cerebrale.
- Dieta ricca di verdure, frutta, pesce azzurro e grassi “buoni”, utile per contenere l’infiammazione.
- Controllo dei valori di pressione, glicemia e colesterolo.
- Stimolazione cognitiva e vita sociale attiva, che aiutano a mantenere “allenata” la rete neuronale.
In questo contesto, le microglia possono essere viste come un ponte tra ciò che accade nel corpo e la salute del cervello: se l’ambiente generale è favorevole, queste cellule hanno più probabilità di svolgere una funzione protettiva.
Una nuova visione dell’Alzheimer centrata sulle difese del cervello
Le ricerche sulle microglia stanno contribuendo a spostare il punto di vista: dall’idea di un cervello passivo che subisce l’accumulo di proteine tossiche a quella di un organo capace di difendersi, ma che a un certo punto viene sopraffatto. Sostenere le sue difese interne, in particolare quelle immunitarie, potrebbe diventare una delle strade più promettenti per rallentare l’avanzata dell’Alzheimer e proteggere più a lungo memoria, identità e autonomia delle persone.










