La durabilità del cemento non è solo una questione strutturale: è uno dei nodi cruciali della transizione ecologica. Ogni volta che un viadotto, un ponte o un edificio si ammala di corrosione e richiede pesanti interventi di riparazione o sostituzione, si paga un conto ambientale fatto di nuove colate di calcestruzzo, produzione di acciaio, trasporti e cantieri. L’industria del cemento è responsabile di una quota importante delle emissioni globali di CO₂, per cui allungare la vita utile delle strutture significa anche ridurre il loro impatto sul clima e sui bilanci pubblici.
Per capire davvero da cosa dipende la durabilità, bisogna spostarsi dal cantiere al mondo invisibile dei nanometri, dove il materiale che ci appare compatto si rivela come una fitta spugna attraversata da canali e cavità minuscole. È qui, nei pori più piccoli del calcestruzzo, che si decide se le armature in acciaio resteranno protette per decenni oppure se verranno aggredite da cloruri e umidità fino alla ruggine e alla fessurazione.
Cemento e nanopori: cosa accade al suo interno
A livello nanoscopico, il cemento idratato è formato soprattutto dal gel di calcio-silicato-idrato (C–S–H), una fase complessa che contiene al suo interno una rete di nanopori irregolari. Questi pori hanno dimensioni paragonabili a pochi miliardesimi di metro e presentano superfici chimicamente attive, capaci di interagire con l’acqua e con gli ioni disciolti. È in questi micro-ambienti che si muovono cloruri, sodio, calcio e altre specie responsabili dei processi di degrado.
Quando acqua e sali penetrano nella matrice cementizia, non fluiscono in modo uniforme come in un tubo: la loro mobilità cambia in funzione della distanza dalle pareti dei pori, della temperatura e della composizione chimica locale. Capire come varia questa mobilità è essenziale per prevedere quanto in profondità e in quanto tempo i cloruri raggiungeranno le barre di armatura, superando la soglia critica che innesca la corrosione.
Ioni, acqua e corrosione delle armature
L’armatura in acciaio è protetta da uno strato passivante che si forma grazie alla forte alcalinità dei pori del calcestruzzo. Quando gli ioni cloruro, provenienti per esempio da aerosol marini o da sali antigelo, raggiungono la superficie del metallo in concentrazioni sufficienti, questo film protettivo può rompersi e lasciare l’acciaio esposto all’ossigeno e all’umidità. Il risultato è un processo di corrosione che genera prodotti voluminosi, in grado di fessurare il copriferro e indebolire l’intera sezione strutturale.
Lo studio dettagliato dei nanopori permette di andare oltre le semplici curve empiriche di penetrazione dei cloruri. Analizzando la diffusione degli ioni in funzione della posizione all’interno del poro, i ricercatori possono distinguere tra zone “bloccate”, vicine alle pareti, e regioni più centrali in cui l’acqua si comporta come in un liquido quasi libero. Questa distinzione aiuta a costruire modelli di trasporto più realistici, in grado di prevedere meglio la vita residua delle strutture esposte a ambienti aggressivi.
Simulazioni molecolari: lo studio guidato dalla Rice University
Il gruppo di ricerca guidato da Kai Gong alla Rice University ha utilizzato simulazioni di dinamica molecolare per osservare a livello atomico come si muovono acqua, sodio e cloruri in un canale di C–S–H di pochi nanometri di spessore. I risultati mostrano un quadro fortemente eterogeneo: vicino alle superfici solide le molecole sono rallentate e “imbrigliate” dalle interazioni chimiche, mentre verso il centro del poro la mobilità aumenta gradualmente, fino a valori simili a quelli dell’acqua in bulk.
Lo studio introduce anche un descrittore strutturale, la “forza di coordinazione totale” (Total Coordination Strength), che collega direttamente la disposizione locale delle molecole alla loro capacità di muoversi. In pratica, dove l’acqua è più fortemente coordinata agli ioni o alle superfici, la diffusione risulta più lenta. Il lavoro, pubblicato e raccontato in dettaglio anche nel comunicato ufficiale della Rice University, è consultabile tramite la pagina: approfondimento sulla dinamica molecolare nei nanopori del calcestruzzo .
Queste informazioni permettono di costruire modelli “ibridi”, in cui i risultati delle simulazioni atomistiche vengono inseriti in approcci di tipo continuo (come quelli ispirati al quadro di Darcy–Brinkman), così da ottenere valori efficaci di diffusività del gel utilizzabili a scala di materiale ingegneristico.
Verso un cemento più sostenibile e resistente
Le implicazioni pratiche di questa nuova comprensione sono molteplici. Sapere quali condizioni di porosità e di chimica superficiale rendono più lento l’ingresso degli ioni aggressivi apre la strada alla progettazione di un cemento più durabile. Si possono, ad esempio, studiare composizioni di legante che favoriscano la formazione di gel con nanopori meno connessi o superfici capaci di intrappolare gli ioni cloruro, riducendone la mobilità.
Parallelamente, modelli più accurati consentono di calibrare meglio gli spessori di copriferro, i livelli di protezione richiesti in ambiente marino, l’uso di aggiunte minerali (come ceneri volanti o scorie d’altoforno) e l’impiego di inibitori di corrosione. Ogni anno di vita in più guadagnato su un ponte o una banchina portuale si traduce in meno demolizioni, meno cemento prodotto ex novo, meno emissioni di CO₂ e minori costi di manutenzione per le comunità.
Dai nanopori del cemento ad altri sistemi complessi
La metodologia sviluppata dal team di Gong non è limitata al settore edilizio. Lo stesso approccio basato su simulazioni molecolari e descrittori strutturali può essere applicato a molti altri sistemi in cui i nanopori regolano il trasporto di ioni e acqua: membrane per la desalinizzazione, materiali per lo stoccaggio energetico, suoli e rocce coinvolti nel ciclo dei nutrienti, barriere per il confinamento dei rifiuti radioattivi.
In tutti questi contesti, la possibilità di collegare in modo quantitativo la struttura locale alla mobilità delle specie disciolte rappresenta un potente strumento per progettare materiali più efficienti e duraturi. Il lavoro sui nanopori del calcestruzzo diventa così un tassello di un mosaico più ampio: quello delle tecnologie in grado di coniugare prestazioni ingegneristiche e sostenibilità ambientale, trasformando il modo in cui pensiamo e costruiamo le infrastrutture del futuro.











