Microchip nel cervello

Cervello e micro-impianti: la nuova rivoluzione invisibile

Cervello e micro-impianti: la nuova frontiera invisibile

Il cervello è l’organo più complesso del nostro corpo, e gran parte del suo funzionamento resta ancora misterioso. Proprio qui entra in gioco MOTE, un micro-dispositivo impiantabile grande meno di un granello di sale, sviluppato da un team della Nanyang Technological University e della Cornell University. Questo minuscolo transceiver ottico wireless è stato progettato per misurare l’attività elettrica cerebrale e trasmetterla all’esterno senza fili, offrendo una finestra senza precedenti sui circuiti neurali, con il potenziale di trasformare lo studio dei disturbi neurologici e il monitoraggio della salute di organi vitali.

L’idea di fondo è ambiziosa: miniaturizzare al massimo gli impianti, ridurre l’invasività chirurgica e migliorare la qualità dei segnali registrati. Con MOTE, i ricercatori puntano a un sistema abbastanza piccolo da integrarsi nel tessuto senza provocare traumi significativi, ma abbastanza sofisticato da rilevare l’attività di singoli neuroni e intere micro-reti neurali in zone profonde del cervello.

Cervello e impianti tradizionali: limiti di una tecnologia già rivoluzionaria

Le interfacce cervello-macchina esistono da decenni e hanno già permesso di fare cose straordinarie, come trasformare l’attività neurale in comandi per cursori, arti robotici o sintetizzatori vocali. Nella maggior parte dei casi si tratta di matrici di microelettrodi collegate tramite cavi che attraversano il cranio e si collegano a dispositivi elettronici esterni. Questo schema ha dimostrato la sua efficacia, ma porta con sé diversi problemi pratici e clinici.

I collegamenti cablati aumentano il rischio di infezioni, richiedono interventi chirurgici complessi e limitano la libertà di movimento delle persone impiantate. Allo stesso tempo, la presenza di corpi estranei relativamente grandi nel tessuto cerebrale può indurre infiammazione cronica e cicatrizzazione, con una progressiva perdita di qualità del segnale registrato. In molti casi, dopo alcuni anni, l’impianto non offre più le prestazioni iniziali e deve essere sostituito o disattivato.

Cervello senza fili: come funziona il micro-dispositivo MOTE

MOTE nasce proprio per superare gran parte di questi limiti. Il dispositivo combina in pochi centesimi di millimetro tre funzioni essenziali: rilevare l’attività elettrica locale, trasformarla in segnali luminosi codificati e sfruttare la luce stessa come sorgente di energia. Il cuore del sistema è un chip con 186 transistor che amplificano i segnali neurali, li elaborano e controllano dei minuscoli LED integrati.

Per alimentare il dispositivo si utilizza luce rossa o infrarossa che attraversa i tessuti. Un diodo a effetto fotoelettrico, simile a quelli dei pannelli solari, converte la luce in energia elettrica, sufficiente a far funzionare il chip. Per inviare i dati verso l’esterno, il micro-impianto modula la durata e la frequenza degli impulsi luminosi, una strategia affine a quella impiegata nelle comunicazioni spaziali: ogni variazione nel pattern di luce corrisponde a un’informazione sull’attività neurale registrata.

L’intero sistema è rivestito da un sottile strato protettivo ottenuto tramite deposizione atomica, che isola i componenti elettronici dall’ambiente chimicamente aggressivo del cervello e ne prolunga la vita operativa. Secondo i dati pubblicati su Nature Electronics, l’obiettivo dei ricercatori è raggiungere una profondità di registrazione fino a circa sei millimetri, sufficiente a coprire l’intera corteccia di piccoli mammiferi e gli organoidi cerebrali umani. Un riassunto dettagliato della tecnologia è consultabile direttamente nell’articolo originale: micro-impianto neurale wireless MOTE descritto su Nature Electronics .

Dal laboratorio agli animali: cosa dicono i primi test

Prima di arrivare al vivo, MOTE è stato testato su colture di cellule muscolari cardiache, per verificare che il dispositivo fosse in grado di rilevare correttamente potenziali d’azione ripetitivi e di trasmetterli in modo fedele. Superata questa fase, i ricercatori hanno impiantato i micro-dispositivi nel cervello di topi, scegliendo la corteccia a barile, la regione che elabora le informazioni tattili provenienti dai baffi.

I risultati sono stati incoraggianti: i segnali registrati mostravano sia l’attività di singoli neuroni sia pattern di rete associati al comportamento dei topi durante l’esplorazione. Nel corso di un anno di osservazione non sono emerse crisi epilettiche, deficit neurologici evidenti o significativi segni di rigetto. L’area intorno all’impianto mostrava una cicatrizzazione minima, indice del fatto che le ridotte dimensioni dell’impianto contribuiscono a renderlo meno “ingombrante” per il tessuto circostante.

Organoidi, cuore e midollo spinale: dove può arrivare la tecnologia

Anche se l’attenzione si concentra sul cervello, MOTE è pensato come una piattaforma più ampia. Lo stesso principio può essere applicato a organoidi cerebrali, piccoli modelli tridimensionali del cervello umano cresciuti in laboratorio a partire da cellule staminali. In questo contesto, micro-impianti così piccoli consentirebbero di monitorare l’attività elettrica interna senza distruggere il campione, offrendo informazioni preziose sullo sviluppo neuronale e sull’effetto di nuovi farmaci.

Altre possibili applicazioni riguardano il monitoraggio del cuore, del midollo spinale o di gangli nervosi periferici, dove l’accesso diretto è spesso complicato e i dispositivi tradizionali risultano troppo grandi. Essere in grado di posizionare sensori quasi invisibili in zone profonde aprirebbe scenari completamente nuovi per la diagnosi precoce, il controllo di pacemaker interni di nuova generazione e la modulazione mirata di circuiti neurali coinvolti nel dolore cronico.

Etica, sicurezza e passi necessari prima dell’uso sull’uomo

Per passare da topi e organoidi ai pazienti serviranno molti passaggi intermedi. Gli studi dovranno chiarire la stabilità dei rivestimenti nel tempo, il rischio di rilascio di particelle, la possibilità di controllare in modo preciso la densità di impianti in una stessa area del cervello e l’eventuale interazione con altre tecnologie mediche, come la risonanza magnetica o la stimolazione transcranica.

Sul fronte etico, una rete di micro-sensori impiantati nel cervello solleva domande sul confine tra monitoraggio terapeutico e possibile uso non medico delle informazioni neurali. Gli esperti di bioetica insistono sulla necessità di regole chiare in tema di consenso, privacy dei dati cerebrali e limiti alle applicazioni non strettamente cliniche. La direzione intrapresa da dispositivi come MOTE mostra che l’elettronica biocompatibile e l’ottica avanzata stanno ridisegnando il modo in cui immaginiamo il dialogo tra sistemi digitali e tessuti viventi.

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