Gli scimpanzé selvatici non si limitano a mangiare frutta matura: in diversi contesti africani consumano regolarmente frutti già in fase di fermentazione, che contengono piccole ma significative quantità di alcol. Questa osservazione, confermata da uno studio recente dedicato al consumo di etanolo nei primati, sta cambiando il modo in cui gli scienziati interpretano l’origine evolutiva del rapporto tra esseri umani e bevande alcoliche.
Analizzando i frutti ingeriti da diverse popolazioni di scimpanzé, i ricercatori hanno misurato concentrazioni di etanolo comprese tra lo 0,3 e lo 0,4%. In apparenza può sembrare un valore modesto, ma se rapportato alle grandi quantità di frutta consumate ogni giorno, la dose complessiva di alcol ingerita risulta tutt’altro che trascurabile. Questo dato suggerisce una lunga storia di esposizione all’etanolo all’interno della linea evolutiva che condividiamo con questi primati.
Quanto alcol assumono davvero gli scimpanzé in natura?
Per comprendere l’impatto reale di questa “dieta etilica”, gli studiosi hanno prima stimato la quantità media di frutta consumata dagli scimpanzé in un giorno. In molti gruppi osservati, i frutti fermentati possono rappresentare una porzione rilevante del totale, fino a decine di grammi di zuccheri trasformati in alcol tramite fermentazione naturale. Considerando che un adulto può mangiare ogni giorno l’equivalente di circa il 10% del proprio peso corporeo in frutta, l’apporto di etanolo diventa significativo.
In termini comparativi, i ricercatori hanno calcolato che alcuni individui arrivano ad assumere l’equivalente di diversi grammi di alcol puro al giorno. Se si rapporta questo valore al peso medio di uno scimpanzé adulto, il risultato è paragonabile, per un essere umano, a un consumo quotidiano moderato di bevande alcoliche. La differenza cruciale è che, per gli scimpanzé, l’assunzione di alcol è una conseguenza indiretta della ricerca di frutta molto zuccherina e aromatica, spesso proprio quella che ha iniziato a fermentare.
L’ipotesi della “scimmia ubriaca” e il legame con l’essere umano
Questi risultati si inseriscono nel quadro dell’ipotesi della scimmia ubriaca, secondo cui l’attrazione umana per l’alcol deriverebbe da una lunga storia evolutiva di esposizione all’etanolo contenuto nella frutta fermentata. Secondo questa idea, i nostri antenati primati avrebbero tratto vantaggio dal riconoscere l’odore dell’etanolo come segnale di frutti ricchi di zuccheri e quindi altamente calorici. In un ambiente naturale dove le risorse sono distribuite in modo irregolare, individuare in fretta questi alimenti poteva offrire un importante vantaggio energetico.
Gli scimpanzé moderni, in questo senso, rappresentano una sorta di “finestra” sul passato. Osservando come selezionano i frutti e quanto spesso scelgono quelli più maturi, si può intuire come simili strategie alimentari abbiano influenzato anche l’evoluzione del comportamento umano. L’alcol, da sottoprodotto della fermentazione, sarebbe passato col tempo a elemento ricercato e trasformato in bevanda, fino a diventare parte integrante di rituali, socialità e tradizioni culinarie.
Come viene misurata l’esposizione all’alcol negli scimpanzé
Per quantificare con precisione l’esposizione all’etanolo, i ricercatori non si sono limitati ad analizzare i frutti, ma hanno raccolto anche campioni biologici. Uno dei metodi più utilizzati consiste nel prelevare l’urina lasciata dagli scimpanzé sui rami o sul terreno, cercando di proteggerla dalla pioggia e dalla contaminazione ambientale. In laboratorio è poi possibile misurare la concentrazione di alcol e dei suoi metaboliti, ottenendo un quadro più completo dell’assorbimento e del metabolismo dell’etanolo.
Questi dati permettono di confrontare diverse popolazioni di scimpanzé, valutando come cambiano i livelli di esposizione in base al tipo di frutti disponibili, alla stagione e alla struttura del loro habitat. In alcune aree, per esempio, sono comuni specie arboree che producono frutti particolarmente zuccherini, più inclini a fermentare; in altre, la fermentazione è meno frequente e l’apporto di etanolo risulta minore.
Scimpanzé, frutta fermentata e rischi di dipendenza
La domanda che emerge spontanea è se gli scimpanzé possano sviluppare forme di dipendenza dall’alcol simili a quelle osservate negli esseri umani. Gli esperti sottolineano che, in natura, il consumo di etanolo da frutta fermentata è limitato dalla disponibilità stagionale e dall’impossibilità di concentrare il contenuto alcolico, come accade nelle bevande prodotte dall’uomo. Inoltre, gli animali non mostrano i tipici comportamenti compulsivi associati all’abuso di alcol nella nostra specie.
In altre parole, negli scimpanzé il consumo di alcol è un effetto collaterale della ricerca di energia sotto forma di zuccheri, non un obiettivo in sé. Ciò non elimina del tutto la possibilità che l’etanolo influenzi il loro comportamento – ad esempio aumentando la rilassatezza o modificando lievemente le interazioni sociali – ma suggerisce che i meccanismi di dipendenza osservati nell’essere umano richiedano ulteriori fattori culturali, psicologici e ambientali.
Scimpanzé come modello per studiare il rapporto tra cervello e alcol
Gli scimpanzé offrono anche un modello utile per indagare come il cervello dei primati gestisca l’esposizione cronica a basse dosi di alcol. Analizzando l’attività di enzimi coinvolti nel metabolismo dell’etanolo, e confrontandola con quella umana, i ricercatori possono capire se alcune mutazioni genetiche abbiano reso la nostra specie più tollerante o, in certi casi, più vulnerabile agli effetti dell’alcol.
In prospettiva, studi di questo tipo potrebbero contribuire a spiegare perché alcune popolazioni umane sviluppano più facilmente problemi legati al consumo eccessivo, mentre altre sembrano più protette. La comparazione con i dati raccolti sugli scimpanzé permette di distinguere ciò che appartiene alla nostra eredità evolutiva da ciò che è emerso in tempi storici, in relazione alle pratiche culturali e alla produzione intenzionale di bevande fermentate.
Domande aperte per le ricerche future
Molti interrogativi restano ancora senza risposta: quanti altri primati selvatici consumano regolarmente frutti fermentati? L’attrazione per l’odore dell’etanolo è innata o viene appresa nel corso della vita? Esistono differenze marcate tra gruppi di scimpanzé che vivono in habitat diversi? Le ricerche in corso mirano a chiarire questi aspetti, combinando osservazioni sul campo, analisi dei frutti, misurazioni biochimiche e studi genetici.
Ciò che emerge fin d’ora è l’immagine di un legame profondo tra primati e alcol, nato ben prima dell’invenzione del vino o della birra. Capire come gli scimpanzé gestiscono questa esposizione naturale all’etanolo può aiutare a ripensare il nostro rapporto con le bevande alcoliche, distinguendo tra un antico adattamento alimentare e i rischi moderni associati all’abuso.










