Digiuno intermittente

Digiuno intermittente: come cambia il metabolismo

Digiuno intermittente: perché da solo potrebbe non bastare

Negli ultimi anni il digiuno intermittente è diventato una delle strategie alimentari più popolari per dimagrire e “riattivare il metabolismo”. Tra le varie forme, il time-restricted eating (TRE) prevede di concentrare tutti i pasti in una finestra di 8-10 ore, lasciando il resto della giornata a digiuno. Una nuova ricerca del German Institute of Human Nutrition e della Charité – Universitätsmedizin Berlin, pubblicata su Science Translational Medicine, mostra però che, se le calorie restano le stesse, i benefici metabolici potrebbero essere molto più limitati di quanto si pensasse. Un’osservazione che invita a rivedere aspettative e modalità con cui adottiamo questo protocollo alimentare.

Che cos’è davvero il digiuno intermittente

Con il termine digiuno intermittente si indicano diversi schemi alimentari che alternano periodi in cui si mangia normalmente a periodi di astensione dal cibo. Il TRE è la forma più semplice: si decide una fascia oraria in cui concentrare tutti i pasti (per esempio dalle 8 alle 16 oppure dalle 13 alle 21) e si rimane a digiuno nelle ore restanti. In studi condotti su animali, questo schema sembrava proteggere dall’obesità indotta da dieta ipercalorica e migliorare glicemia, lipidi e infiammazione. Alcune ricerche preliminari sull’uomo avevano riportato effetti simili, soprattutto su peso e sensibilità all’insulina, spingendo molte persone ad adottarlo come regime di vita quotidiano.

Lo studio che rimette in discussione i benefici metabolici

Nella nuova sperimentazione clinica, i ricercatori hanno arruolato donne in sovrappeso od obese e le hanno suddivise in due gruppi: un gruppo faceva colazione presto e consumava tutti i pasti tra le 8:00 e le 16:00 (eTRE), l’altro mangiava tra le 13:00 e le 21:00 (lTRE). L’aspetto cruciale è che le diete erano isocaloriche: stesso numero di calorie e stessa composizione di macronutrienti per entrambi i gruppi. In questo modo, gli scienziati hanno potuto isolare l’effetto della sola distribuzione temporale dei pasti, senza confonderlo con una eventuale riduzione spontanea dell’apporto calorico.

Durante le settimane di intervento sono stati monitorati numerosi marcatori: sensibilità all’insulina, livelli di glucosio nel sangue, lipidi, ormoni metabolici e parametri di composizione corporea. I risultati hanno mostrato che, a parità di calorie, il TRE non ha determinato miglioramenti significativi in questi indicatori rispetto a un semplice schema di alimentazione distribuito più tardi nella giornata.

Digiuno e calorie: perché l’equilibrio energetico resta centrale

Il messaggio chiave che emerge dallo studio è che, per ottenere benefici metabolici duraturi, il corpo “guarda” prima di tutto al bilancio tra energia introdotta ed energia spesa. Il digiuno intermittente può aiutare alcune persone a mangiare meno in modo quasi automatico, ma se le calorie totali restano invariate i miglioramenti su peso, glicemia e lipidi possono essere modesti o assenti. Come sottolinea la professoressa Olga Ramich, responsabile del Dipartimento di Metabolismo Molecolare e Nutrizione di Precisione, l’obiettivo non dovrebbe essere solo l’orologio, ma anche l’equilibrio energetico complessivo.

  • Equilibrio energetico negativo: si assumono meno calorie di quante se ne consumano; il corpo attinge alle riserve e il peso cala.
  • Equilibrio energetico neutro: calorie introdotte e spese si bilanciano; il peso rimane stabile.
  • Equilibrio energetico positivo: si mangia più di quanto si brucia; l’eccesso viene immagazzinato come grasso.

Per chi desidera usare il TRE come strumento per dimagrire, diventa quindi essenziale prestare attenzione anche alla densità calorica dei pasti, alle porzioni e alla qualità degli alimenti, non solo alla finestra oraria in cui si mangia.

Effetti del digiuno sugli orologi biologici e sui ritmi circadiani

Anche se i marcatori metabolici non sono migliorati in modo evidente, la ricerca ha messo in luce un altro aspetto interessante: l’orario dei pasti influenza i ritmi circadiani. I partecipanti che mangiavano più tardi tendevano a spostare in avanti l’addormentamento e il risveglio, mentre chi seguiva l’eTRE mostrava una routine più mattiniera. I ritmi circadiani regolano una grande quantità di processi fisiologici, dal rilascio di ormoni alla temperatura corporea, fino alla digestione. Alcuni studi divulgativi, come quelli raccolti su portali sanitari specializzati quali Humanitas, ricordano che mangiare in sincronia con il proprio orologio interno può supportare la salute metabolica, soprattutto se associato a sonno regolare e attività fisica.

Digiuno intermittente e sensibilità all’insulina

Una delle maggiori promesse attribuite al digiuno intermittente riguarda il miglioramento della sensibilità all’insulina, un fattore chiave nella prevenzione del diabete di tipo 2. In questo studio, però, i test specifici (come l’OGTT e gli indici derivati) non hanno mostrato differenze significative tra chi mangiava presto e chi mangiava tardi, proprio perché l’introito calorico era strettamente controllato e identico. Questo suggerisce che i miglioramenti riportati da altre ricerche potrebbero derivare soprattutto da una riduzione spontanea del cibo, spesso non misurata con precisione.

Ciò non significa che il TRE sia privo di valore, ma che va interpretato come un “contenitore” organizzativo utile per alcune persone a gestire meglio il rapporto con il cibo, più che come un “interruttore magico” in grado di riprogrammare il metabolismo indipendentemente da quanto si mangia.

Quando il digiuno può essere uno strumento utile

Per molte persone, il vantaggio pratico del TRE è la semplificazione: meno momenti in cui si mangia, meno occasioni di spuntini ipercalorici, una routine più ordinata. In chi ha una tendenza a “sgranocchiare” tutto il giorno o a fare cene molto abbondanti, limitare la finestra alimentare può ridurre in modo naturale le calorie. Inoltre, concentrare i pasti in orari compatibili con il proprio cronotipo (mattiniero o serale) può migliorare energia, qualità del sonno e organizzazione della giornata.

È importante ricordare che il digiuno intermittente non è adatto a tutti: persone con diabete in terapia farmacologica, donne in gravidanza o allattamento, chi ha storie di disturbi del comportamento alimentare o patologie particolari dovrebbe rivolgersi al proprio medico o a un nutrizionista prima di modificare radicalmente gli orari dei pasti. Per un approfondimento equilibrato sui diversi protocolli di digiuno e sulle relative controindicazioni, è possibile consultare realtà divulgative come la Fondazione Umberto Veronesi.

Come impostare in modo consapevole il proprio schema di digiuno

Chi desidera sperimentare il TRE può partire da piccoli cambiamenti: per esempio, eliminare gli spuntini serali molto tardi, anticipare leggermente la cena o posticipare di un’ora la colazione. L’obiettivo non è resistere eroicamente alla fame, ma trovare un ritmo sostenibile nel tempo. Alcuni suggerimenti pratici includono:

  • Definire una finestra alimentare che si adatti agli impegni di lavoro e familiari.
  • Prediligere cibi sazianti (proteine di qualità, fibre, grassi “buoni”) per evitare eccessi durante i pasti.
  • Mantenere una buona idratazione, anche durante le ore di digiuno, con acqua, tisane non zuccherate e infusi.
  • Associare il protocollo alimentare a movimento regolare e a un sonno il più possibile costante negli orari.

Più che cercare nel digiuno intermittente una scorciatoia, è utile vederlo come uno strumento da integrare in uno stile di vita globale: alimentazione bilanciata, attività fisica, gestione dello stress e cura dei ritmi quotidiani. Solo così i potenziali benefici possono emergere in modo concreto e duraturo.

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