Pioggia di plasma sul Sole

Scoperta la “pioggia” di plasma sul Sole: cosa significa davvero

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Quando gli astronomi parlano di pioggia solare (o coronal rain) non si riferiscono a gocce d’acqua come quelle che cadono sulla Terra, ma a filamenti di plasma rovente che precipitano dalla parte più esterna dell’atmosfera solare, la corona, verso strati più bassi del Sole. Questo fenomeno è tra i più spettacolari osservati sul nostro astro, perché segue fedelmente le linee del campo magnetico creando veri e propri archi luminosi che possono essere più grandi del nostro pianeta.

Le nuove ricerche dell’Istituto di Astronomia dell’Università delle Hawaii stanno mostrando che questa pioggia non è solo un “effetto collaterale” di altri fenomeni solari, ma potrebbe essere una chiave di lettura importante per capire come si scalda e si raffredda la corona, uno dei misteri più longevi della fisica solare.

Perché la corona solare è un enigma

La corona solare è paradossale: è più calda della superficie del Sole. La fotosfera, cioè la parte “visibile”, ha una temperatura di circa 5.500 °C, mentre la corona può raggiungere 1-2 milioni di gradi. Questa differenza è stata un rompicapo per i fisici per decenni. Da dove arriva tutta questa energia? Come viene trasportata e dissipata?

La pioggia coronale si inserisce in questo scenario come un fenomeno di raffreddamento improvviso: il plasma che prima era stato scaldato in corona, a un certo punto perde energia molto velocemente, si condensa e “cade” lungo i coronal loops, cioè archi magnetici che collegano zone diverse della superficie solare.

Cos’è davvero la coronal rain

La coronal rain è il risultato di una sequenza abbastanza chiara:

  • Riscaldamento impulsivo: un evento energetico (spesso associato a un brillamento o a una riconnessione magnetica) scalda rapidamente il plasma nella corona.
  • Perdita di energia: dopo il picco di temperatura il plasma comincia a irradiare energia nello spazio.
  • Raffreddamento e condensazione: se la perdita di energia è molto rapida, il plasma non riesce più a “stare su” e condensa in filamenti più densi e freddi.
  • Caduta lungo le linee magnetiche: la gravità solare fa il resto e il plasma scorre verso il basso seguendo il campo magnetico, proprio come se stesse “piovendo”.

Visto con i telescopi solari, questo processo somiglia a cascate di luce che scendono lentamente, a volte per decine di migliaia di chilometri.

Il ruolo sorprendente delle abbondanze elementari

Il nuovo lavoro del gruppo delle Hawaii introduce un elemento che finora era stato considerato meno decisivo: le abbondanze degli elementi nel plasma. Non tutto il plasma coronale ha la stessa “ricetta”: le quantità di ferro, silicio e magnesio possono variare, e questo cambia il modo in cui il plasma perde energia per irraggiamento.

Inserendo queste variazioni nelle simulazioni numeriche, i ricercatori hanno visto che la pioggia coronale può formarsi molto più in fretta di quanto prevedevano i modelli più vecchi: invece di ore o giorni, basta anche circa mezz’ora di riscaldamento e successivo raffreddamento perché inizi la “pioggia”.

Questo significa che la corona non è un ambiente uniforme, ma un sistema dinamico e stratificato, in cui piccoli cambiamenti nella composizione chimica possono avere grandi effetti sull’equilibrio termico.

Perché questo cambia le idee sul riscaldamento coronale

Uno dei motivi per cui la coronal rain interessa tanto i fisici solari è che è una spia visibile di ciò che non riusciamo a vedere: la sequenza riscaldamento → raffreddamento → condensazione. Se riusciamo a riprodurre in laboratorio o in simulazione la stessa sequenza, possiamo testare le ipotesi su come la corona venga riscaldata: da onde magnetiche? Da micro-brillamenti continui? Da riconnessioni magnetiche su piccola scala?

Le nuove simulazioni mostrano che la rapidità con cui parte la pioggia dipende anche da questi dettagli compositivi. Questo fornisce agli scienziati una nuova manopola da ruotare nei loro modelli e un nuovo elemento osservabile da cercare nei dati di missioni come SDO, Solar Orbiter e Parker Solar Probe.

Come si osserva la pioggia solare

Le piogge coronali vengono osservate soprattutto con telescopi spaziali che lavorano nell’estremo ultravioletto e nei raggi X soffici, lunghezze d’onda dove la corona è brillante. Telescopi come quelli della NASA e dell’ESA riescono a catturare sequenze in cui si vedono archi magnetici accendersi, poi raffreddarsi e infine “sgocciolare” plasma.

Dal punto di vista osservativo, gli astronomi guardano a:

  • Temperatura del plasma lungo l’arco
  • Densità (che aumenta quando il plasma condensa)
  • Velocità di caduta del materiale lungo le linee magnetiche

Combinando questi dati con i nuovi modelli che includono le abbondanze variabili, è possibile ricostruire con più precisione cosa è successo poco prima, cioè nella fase di riscaldamento.

Connessioni con il meteo spaziale

Capire come si scalda e si raffredda la corona non è un esercizio teorico. I processi che generano la coronal rain sono strettamente collegati alle eruzioni solari e alle espulsioni di massa coronale, cioè quegli eventi che possono influenzare il meteo spaziale e, di conseguenza, i satelliti, le comunicazioni e persino le reti elettriche sulla Terra.

Se comprendiamo meglio i meccanismi che portano a queste rapide perdite di energia, potremo forse prevedere meglio certi eventi o almeno interpretarli con maggiore accuratezza.

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