Fosdinovo è una terra di confine tra Toscana e Liguria. Qui sorge un magnifico castello radicato sulla roccia regno da secoli della famiglia Malaspina. La costruzione dell’imponente fortezza, che si fonde incredibilmente con la roccia arenaria tanto da farla sembrare scolpita nella pietra viva, ebbe inizio nella seconda metà del XII secolo, anche se si parla del Castrum Fosdinovense già in documento di Lucca del 1084. Il Castello di Fosdinovo si compone di una pianta quadrangolare con 4 torri rotonde orientate, un bastione semicircolare, due cortili interni, camminamenti di ronda sopra i tetti, giardini pensili, loggiati ed un avamposto verso il Paese detto in antico lo “spuntone”, formidabile strumento difensivo. Protetta anticamente da un ponte levatoio, la porta d’ingresso duecentesca introduce su di un piccolo cortile in puro stile romanico dove una colonna marmorea, anch’essa del duecento, ne sostiene i loggiati superiori. Dal piccolo cortile, dove un tempo si trovavano i cannoni difensivi, partono le larghe rampe di scale (ci si passava con i cavalli) che conducono al grande cortile centrale. La Sala d’ingresso, la Sala da pranzo col grande camino settecentesco e le ceramiche da farmacia del ‘600, la Sala del trono, il grande Salone con gli attigui salotti e la camera del trabocchetto con la sottostante sala delle torture. Si racconta che proprio da questa stanza, la marchesa Cristina Pallavicini, donna malvagia e lussuriosa, eliminava i suoi amanti facendoli cadere nella botola situata ai piedi del letto. E proprio i trabocchetti erano una prerogativa del castello. Ne esistevano tre, due nel loggiato che dava sull’orto ed uno nella torre d’angolo. Alla loro base erano infissi affilati coltelli con la punta rivolta verso l’alto, di modo che il disgraziato, una volta caduto dalla botola attivata con una molla, veniva colto immediatamente dalla morte. Oltre a questi tremendi strumenti di tortura, ne esisteva un altro ancor più terribile.
Si trattava di un braccio di ferro che sporgeva dal muro della torre, ad esso era applicata una carrucola ed un anello murato in terra, collegati da una corda. Il torturato veniva appeso a lasciato penzoloni sotto gli occhi di tutto il paese, finché non fosse morto. Nella più antica torre di levante, si trova la cosiddetta “camera di Dante”, dove, secondo la tradizione, dormì il sommo poeta quando fu ospitato al castello durante il periodo d’esilio.
E’ tra queste mura che comincia la storia di oggi, la storia del fantasma di una ragazza, Bianca Malaspina. Tra queste mura nel 2011 furono ritrovati resti di ossa che si sono rivelate appartenere ad un essere umano, presumibilmente ad una donna e a due animali di specie diversa. Tale scoperta ha delle coincidenze con quella che a Fosdinovo era fino ad allora solo una banale leggenda e cioè la storia di Bianca Maria Malaspina.
Bianca Maria Aloisia Malaspina era una ragazza giovane, vissuta a metà del XIII secolo, figlia del Marchese Giacomo II Malaspina e della Contessa Maria Oliva-Grimaldi della Rocca Grimalda. La sua storia ricorda per alcuni versi quella di Guendalina Malatesta, meglio conosciuta come Azzurrina. Infatti, proprio come lei, Bianca era nata albina. A quell’epoca l’albinismo e la capigliatura fulva venivano considerate caratteristiche peculiari delle streghe o comunque opera del demonio. Bianca aveva la pelle chiarissima, gli occhi azzurri e i capelli biondi. Temendo possibili ripercussioni, i genitori chiusero la bambina in una stanza da sola. Qualche anno più tardi decisero di affiancarle un cane per la compagnia. All’età di 7-8 anni la bambina riuscì a raggiungere la finestra e poter così guardare il mondo esterno. In tale occasione vide un giovane stalliere del quale si prese una cotta. Il ragazzo chiese chi fosse quella bambina che mai prima di allora aveva visto ed il marchese rispose che si trattava di un fantasma e che nessuna bambina viveva nel castello. L’evento portò il padre ad adottare una nuova strategia. A tal proposito condusse la bambina nel Convento di S. Croce del Corvo, ma ella si rifiutò di prendere i voti riuscendo poi a fuggire. La sua fuga fu breve, fu infatti ritrovata e ricondotta al castello. L’amore tra una nobildonna e uno stalliere certamente sarebbe stato infamante. A tal proposito il ragazzo venne ucciso. La ragazza stanca di quella prigionia cominciò a ribellarsi. Tale comportamento non piacque al Marchese che decise di rinchiuderla in una cella murata insieme al suo cane, simbolo di fedeltà, e ad un cinghiale, simbolo di ribellione.
Gli abitanti della zona credevano potesse trattarsi di una leggenda fino al 1984, quando durante gli scavi, si scoprì l’esistenza di una stanzetta senza vie d’uscita all’interno della quale vennero rinvenuti i resti di uno scheletro femminile, sopra il quale era adagiato quello di un cane. Tra i resti recuperati anche una mandibola di cinghiale.
Ancora oggi, durante le notti di luna piena, il suo spirito vaga per il castello in compagnia del cane e del cinghiale. Questo apparirebbe con una veste bianca e i capelli bellissimi sciolti sulle spalle. Inoltre, sul soffitto di una delle tante sale del maniero dei Malaspina, esattamente nella sala del trono si può vedere una macchia bianca di umidità che ha le sembianze di un volto di donna avvolta da altre due macchie nere che a ben guardare mostrano un cane e un cinghiale. Appena sotto queste un’altra macchia ancora: quella di una corona di re.
La storia del fantasma di Bianca Malaspina non è l’unica. Un’altra delle storie del castello riguarda la marchesa Cristina Pallavicini. La sua fu una vita macchiata di sangue e delitti. Il marito Ippolito, infatti, fu vittima e carnefice dei fratelli Pasquale e Ferdinando in un’atroce lotta per il domino del feudo. Nella sua vita, si narra, ebbe molti amanti quasi tutti popolani, e la leggenda racconta che la marchesa, per non essere scoperta né tradita, dopo averci trascorso la notte insieme, se ne sbarazzava facendoli precipitare nella botola posta al centro della sua stanza da letto. Le grida disperate degli sventurati uomini, data la particolare acustica della stanza, ricadevano al centro di essa e non venivano udite al di fuori della porta. Nella camera è ancora visibile la traccia di un’antica botola. Inoltre, si racconta che il letto respiri e pulsi il cuore. Il Marchese dei suoi celebri attacchi d’ira, accecato dalla gelosia e convinto d’esser stato tradito, prese il coltello e tagliò di netto le dita di entrambe le mani della moglie, lasciandola esangue sul pavimento e conservando il macabro trofeo nel proprio fazzoletto. Il Marchese scoperto venne arrestato. Della giovane marchesa, leggenda vuole che il suo spirito erri ancora nel luogo dove si compì il tragico evento. Leggenda o realtà? A voi, l’ardua sentenza.