Ogni anno, tra la fine dell’estate e l’autunno, gran parte degli Stati Uniti sud-orientali assiste a una delle più grandi operazioni sanitarie rivolte alla fauna selvatica: la distribuzione di esche vaccinali orali contro la rabbia. Aerei ed elicotteri volano a bassa quota sopra foreste, campagne e persino zone periurbane per lasciare al suolo migliaia di piccole esche destinate soprattutto ai procioni, considerati uno dei principali serbatoi del virus rabbico in quelle aree. È un intervento silenzioso, coordinato dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), che coinvolge più stati e milioni di dosi ogni anno per arginare una malattia quasi sempre letale.
Dove e quante esche vengono distribuite
La campagna 2025-2026 interessa soprattutto gli stati dell’arco appalachiano e del Sud: Alabama, Georgia, Carolina del Nord, Tennessee, Virginia e West Virginia sono tra le aree più attive. Solo in Alabama è prevista la diffusione di circa 750.000 esche, mentre tra Georgia del Nord e Carolina del Nord occidentale se ne rilasciano oltre 410.000. Altre 690.000 vengono sparse nei territori che salgono fino al Tennessee. Più a Nord – in Maine, New York, Ohio e Pennsylvania – la distribuzione comincia spesso a fine estate, seguendo i corridoi ecologici dei procioni e delle moffette (USDA).
Gli aeromobili seguono rotte prestabilite grazie al GPS, in modo da creare veri e propri “cuscinetti” di immunizzazione lungo i confini tra aree già vaccinate e aree ancora a rischio. L’obiettivo non è solo proteggere gli animali selvatici, ma impedire che la rabbia entri nelle zone più popolate, dove un singolo animale infetto potrebbe innescare una catena di contagi tra animali domestici e persino esseri umani.
Cosa c’è dentro un’esca anti-rabbia
Le esche sono studiate per essere appetibili per i procioni e per altri mammiferi selvatici. All’esterno possono sembrare crocchette o piccoli bocconi rivestiti di sostanze odorose; all’interno contengono una capsula con il vaccino RABORAL V-RG, basato su un virus vivo geneticamente modificato derivato dal vaccinia, lo stesso ceppo usato in passato per i vaccini contro il vaiolo. Quando l’animale morde e ingerisce il contenuto, il virus attenuato esprime un frammento del virus della rabbia e innesca una risposta immunitaria protettiva.
Secondo i dati USDA, questo vaccino è stato testato su oltre 60 specie animali senza evidenziare rischi significativi e, a oggi, nel Nord America ed Europa sono state distribuite più di 200 milioni di dosi con soli due casi documentati di infezione da ceppo vaccinale, entrambi risolti con guarigione completa.
Perché serve un vaccino per gli animali selvatici
Negli Stati Uniti, il 90% dei casi di rabbia segnalati ogni anno riguarda animali selvatici. Procioni, moffette, volpi e pipistrelli sono i principali vettori. Se la malattia raggiunge cani e gatti non vaccinati, il rischio per l’uomo aumenta drasticamente. Vaccinare la fauna selvatica significa quindi interrompere la catena di trasmissione alla fonte e ridurre i casi di esposizione umana che richiedono cure post-esposizione molto costose.
È anche una questione di sanità pubblica: una singola volpe o un procione rabbico entrato in un quartiere può costringere i servizi sanitari locali a interventi d’emergenza, controlli sugli animali domestici e percorsi vaccinali per le persone esposte. Un programma aereo di immunizzazione, per quanto impegnativo, risulta spesso più economico e più efficace sul lungo periodo.
Le perplessità di cittadini e scienziati
Non tutti però accolgono con entusiasmo il lancio di virus geneticamente modificati nei boschi e nelle campagne. Alcuni residenti nelle zone interessate lamentano una scarsa comunicazione preventiva e si chiedono perché non venga chiesto un consenso esplicito alle comunità locali prima di distribuire esche nei loro terreni, parchi e giardini. Altri studiosi indipendenti sollevano domande sulla persistenza ambientale del vaccino e sulla possibilità, seppur bassa, che possa essere diffuso attraverso saliva, feci o contatti indiretti fra animali.
Le autorità sanitarie rispondono che il rischio è considerato molto basso e che le linee guida sono chiare: non toccare le esche a mani nude, non lasciarle ai bambini, non permettere ai cani di mangiarne più di una (l’ingestione multipla può causare disturbi gastrointestinali). In caso di contatto, è sufficiente lavare abbondantemente le mani con acqua e sapone.
Vantaggi e limiti di una strategia “dall’alto”
Dal punto di vista dell’USDA, questo programma è una misura salvavita: la rabbia resta una malattia praticamente sempre fatale una volta comparsi i sintomi, e prevenire i focolai tra i selvatici significa proteggere l’intera filiera uomo–animale domestico–fauna. Gli esperti sottolineano che, rispetto agli anni ’80 e ’90, le zone endemiche si sono ristrette proprio grazie alla vaccinazione orale.
Resta però aperta la questione della trasparenza verso i cittadini e del monitoraggio ecologico nel lungo periodo: per mantenere la fiducia pubblica, molti chiedono più dati accessibili su efficacia, eventi avversi, impatto su specie non target e costi-benefici. Solo così le campagne aeree anti-rabbia potranno continuare a essere percepite non come un esperimento calato dall’alto, ma come uno strumento condiviso di salute pubblica.












