Chi perde il lavoro. Chi chiude il negozio. Chi infrange la legge. Chi gli manca un parente. Chi salva le vite. Chi cura ferite. Chi riempie il carrello. Chi ammazza il fratello. Chi sogna la luna. Chi ha molta paura. Chi afferra il momento. Chi muore di virus o d’isolamento.
Se c’è una cosa che fa più male del coronavirus, è perdere la primavera senza la possibilità che questa torni mai più indietro. Il destino non assicura ad ognuno di poterne vivere una anche l’anno prossimo, poi un’altra l’anno dopo ancora e così via dicendo. Intanto quella di oggi è persa per sempre. L’ozio e la noia obbligano ad assistere inermi alla primavera che brilla fuori dalla finestra, alle giornate che continuano ad allungarsi e al vento che diventa sempre più caldo. Un ragazzo che si vede scippare la primavera dei suoi vent’anni da sotto il naso è portato a fare pensieri torbidi, accumulare silenzio e finire trascinato negli abissi esistenziali della vita. Invece che reagire positivamente alla noia, la più grande antagonista della creatività, riflette sulla bella stagione della sua giovinezza che ha dovuto sacrificare per colpa di un virus figlio ed effetto di una società senza scrupoli. Si pensi per esempio solamente a tutti gli studenti della 5° liceo che non faranno la gita dell’ultimo anno, l’indimenticabile viaggio prima del cambio di passo verso l’università o il lavoro. Non avranno mai la possibilità di vivere e poi raccontare il magico momento. Una perla rubata alla vita e un ricordo sottratto alla memoria. Un lampo che scappa e un attimo che fugge per sempre rimpianti. Perdere la primavera dei propri vent’anni significa perdere anche il succo della propria giovinezza. Ma da questo stop si può imparare a non sprecare mai più le primavere future.
Il blocco totale e la stagione migliore che se ne va spingono alla solitudine, che però a sua volta induce alla riflessione. C’è chi chiederà a sè stesso il conto di tutto ciò che ha fatto, delle scelte, delle rinunce, degli amori e degli sprechi. Chi si incazzerà per un’opportunità che gli è scappata dalle mani. Chi vorrà cambiare vita e mai più tonare a quella di prima. Chi comincerà a odiare la persona che era e subito dopo ad amare la persona che diverrà. Chi capirà quali sono i veri problemi contro cui combattere e la smetterà di arrabbiarsi per le cose di poco conto. Chi eliminerà il superfluo e terrà solo l’essenziale. Chi si accorgerà di aver speso ogni secondo di ogni minuto a farsi del male.
Virus in latino significa “veleno” e il Covid-19 è esattamente la vendetta al veleno della natura contro l’uomo che da sempre la sfrutta e la calpesta senza rispetto. Che la distrugge e la deruba per i suoi squallidi guadagni. Come paradosso, da un male potrebbe però nascere un bene. Non sia mai che l’epidemia possa diventare un grande maestro di vita, se solo gli uomini avessero la capacità di imparare qualcosa dai propri errori. La più grande fortuna sarebbe realizzare che non è il virus quello che deve essere curato, ma l’intero sistema costruito che ora è in ginocchio.
Forse la natura offre all’umanità l’ultima chance per cambiare e migliorare. La fine della pandemia dovrà rappresentare due cose: il primo giorno della nuova vita di ogni persona e l’ultima primavera persa. Magari.
Riccardo Chiossi