Lotta all’artrite reumatoide: il Filgotinib è in dirittura d’arrivo.
Si tratta di un nuovo studio su un farmaco sperimentale che sta ottenendo risultati promettenti negli Stati Uniti dopo aver raggiunto l’ultima fase dei test clinici su pazienti umani.
La medicina appartiene a una nuova classe di farmaci chiamati “inibitori JAK”, specifici per pazienti affetti d’artrite reumatoide.
Questa malattia è infiammatoria, cronica e colpisce soprattutto le articolazioni.
Si spera che l’agenzia statunitense per gli alimenti e i medicinali FDA (Food and Drug Administration) possa approvare il nuovo farmaco entro 12 mesi.
Le caratteristiche degli inibitori JAK nel contrasto all’artrite reumatoide
La famiglia JAK è composta da quattro molecole strettamente collegate: JAK1, JAK2, JAK3 e TYK2 con un ruolo essenziale: alleviare i processi infiammatori delle cellule.
Nel corso dell’ultimo decennio, è partito lo sviluppo di questa classe di farmaci, conosciuta come inibitori JAK.
Il loro obiettivo è trattare le malattie immuno-mediate, cioè quelle patologie infiammatorie che provocano la reazione del sistema immunitario.
Gli inibitori JAK agiscono ad ampio raggio contro disturbi che spaziano dagli eczemi a malattie infiammatorie croniche intestinali, come il morbo di Crohn.
L’evoluzione degli inibitori JAK utili a contrastare l’artrite reumatoide
La comparsa di due inibitori JAK sul mercato dei farmaci risale al periodo tra 2011 e 2012.
Questi inibitori di prima generazione sono abbastanza efficaci, ma la mancanza di caratteristiche specifiche può provocare parecchi effetti collaterali.
L’ultima generazione di inibitori JAK sta arrivando alle fasi finali dei test clinici su pazienti umani.
Questi nuovi farmaci dovrebbero essere più efficaci e presentare meno effetti collaterali.
A questo scopo, sono progettati in base a molecole JAK specifiche, ad azione più mirata e meno invasiva.
Filgotinib: nuova speranza nella cura dell’artrite reumatoide
Il Filgotinib è un inibitore JAK che individua selettivamente l’enzima JAK1.
Il farmaco è stato verificato principalmente per il trattamento dell’artrite reumatoide, ma i primi test clinici hanno dimostrato anche risultati promettenti nel contrasto della colite ulcerosa e del morbo di Crohn. In fase di esame anche per la spondilite anchilosante, l’uveite, l’artrite psoriasica e la nefropatia da lupus.
La pubblicazione dei risultati sul contrasto all’artrite reumatoide
Dopo anni di sviluppo degli studi, gli scienziati hanno pubblicato i primi risultati della fase finale 3 dei test clinici su pazienti umani, riguardanti l’efficacia del nuovo farmaco.
La pubblicazione precede il passaggio successivo: la richiesta alla FDA d’introdurre la medicina sul mercato nel 2020.
I risultati sono certamente promettenti:
- Oltre 40% di pazienti, sottoposto al dosaggio più alto di Filgotinib, presenta “bassa incidenza della malattia” dopo 12 settimane, in confronto al 15% circa che mostra effetti positivi simili dopo aver assunto un placebo
- Dopo 24 settimane di utilizzo del Filgotinib, la percentuale di successo sfiora il 50%
- Un dato ancora più importante riguarda il 30% di appartenenti al gruppo, che ha assunto Filgotinib ad alto dosaggio, con remissione completa della malattia dopo 24 settimane, in confronto ad appena il 12% dei pazienti trattati con un placebo.
Le speranze dei pazienti affetti da artrite reumatoide
Conclusi tutti i test, la palla passa quindi alla FDA per il responso definitivo.
Se tutto procederà in modo positivo, l’anno prossimo dovrebbe entrare in azione il nuovo farmaco.
Milioni di persone, sofferenti per questa malattia invalidante, potrebbero avere una nuova arma per contrastarla e che dovrebbe essere più tollerata delle medicine più vecchie.
L’artrite reumatoide è presente in tutto il mondo e a tutte le latitudini. La malattia coinvolge circa l’1% della popolazione mondiale.
In Italia ci sono circa 400.000 malati (1 ogni 250 abitanti) con 2-4 nuovi casi per anno su 10.000 individui adulti. L’artrite reumatoide colpisce più frequentemente le donne degli uomini con un rapporto di 3-4 a 1 e, in particolare, tra i 40 e i 60 anni. Purtroppo però la malattia può manifestarsi a tutte le età, compresa quella infantile e senile.
Da qui nasce lo sforzo della ricerca per sconfiggerla definitivamente.
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