Homo denisova: l’uomo primitivo che visse sul tetto del mondo

I resti, trovati sulle montagne del Tibet, potrebbero fornire importanti informazioni su questa misteriosa specie umana.

Per la prima volta in assoluto, un team di ricerca internazionale ha identificato resti di Homo denisova provenienti dalla grotta di Baishiya Karst, in Tibet. Prima d’ora, non erano mai stati rinvenuti fossili di questi uomini primitivi – strettamente imparentati con l’Homo sapiens – al di fuori della grotta di Denisova, in Siberia. La scoperta è stata resa possibile da una tecnica innovativa basata sull’analisi delle proteine, molecole che possono preservarsi più a lungo del DNA. Allo studio hanno partecipato ricercatori di vari paesi, tra cui Cina, America e Germania.

Gli uomini primitivi dalla Siberia

Poco si sa di questo membro del genere Homo, i cui resti furono inizialmente trovati nella grotta di Denisova, sui monti Altai (Siberia). Questo sito è stato oggetto di esplorazioni sin dagli anni ’70 e, nel corso delle decadi, sono stati scoperti numerosi fossili e perfino manufatti, probabilmente realizzati da uomini di Neanderthal. Nel 2008, alcuni scienziati portarono alla luce un osso del mignolo appartenuto ad una bambina, vissuta più di 30 mila anni fa. Non potevano immaginare la reale importanza di quel ritrovamento.

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Un team di ricercatori analizzò i frammenti di DNA ancora presenti nel reperto e i risultati dell’esperimento – pubblicati su Nature – portarono ad un’incredibile rivelazione. Il genoma presentava una certa somiglianza con quello dei Neanderthal, eppure non poteva trattarsi di un membro della stessa specie. Quindi, questa bambina faceva parte di un nuovo gruppo di uomini primitivi denominato Homo denisova.

Alcuni scienziati hanno ipotizzato che discenda dal più antico H. heidelbergensis, le cui prime tracce risalgono a circa 700 mila anni fa. Resti di questa specie sono stati identificati in Africa e in Europa (per esempio in Francia, Germania e Italia). È proprio da queste popolazioni europee che, secondo alcune teorie, ebbero origine gli uomini di Neanderthal e di Denisova, approssimativamente 400 mila anni fa. Al contrario, i nostri antenati sarebbero discesi da una sottospecie africana chiamata H. rhodesiensis, 100 mila anni dopo.

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Il DNA di H. denisova è stato messo a confronto con quello dell’uomo moderno e si è scoperto che alcune popolazioni asiatiche – in particolare, quelle che abitano la Melanesia – condividono con esso fino al 5% del proprio genoma. Questi dati dimostrano che gli uomini di Denisova si accoppiarono con l’H. sapiens, esattamente come avvenne con gli uomini di Neanderthal. Infatti, un team di scienziati ha recentemente identificato i resti di una donna nata dall’unione di una Neanderthal e un Denisova, che visse in Siberia 90 mila anni fa.

L’uomo del mistero

La storia di questo reperto ha inizio nel 1980, in Tibet, quando un monaco buddista si recò a pregare presso la grotta di Baishiya Karst. Improvvisamente, notò uno strano oggetto che giaceva in terra, solo allora si accorse di aver appena trovato le ossa di una persona. Decise di portarle al suo maestro che, resosi conto del valore del reperto, lo affidò all’Università di Lanzhou, in Cina.

Passarono 30 anni prima che un’archeologa dell’istituto, Dongju Zhang, si interessasse al pezzo: la metà di una mandibola su cui erano ancora preservati due molari. La ricercatrice fu colpita dalla mancanza del mento, elemento caratteristico dell’uomo moderno ma assente nelle specie più primitive. Incuriosita, si recò sul luogo del ritrovamento dove rinvenne antichi manufatti: evidentemente, quella grotta era stata un tempo frequentata da esseri umani.

Vari esperti si dedicarono allo studio del reperto, nel tentativo di svelare il mistero che lo avvolgeva. Tramite l’analisi isotopica di alcuni frammenti rocciosi presenti sul pezzo, Tsai-Luen Yu e Chuan-Chou Shen (professori all’Università Nazionale di Taiwan) determinarono che la mandibola risaliva a ben 160 mila anni fa. Non era possibile fosse appartenuta ad un esemplare di Homo sapiens, in quanto all’epoca i nostri antenati non avevano ancora colonizzato il continente asiatico. Quindi, quale poteva essere l’origine di questo antico individuo?

Per dare una risposta a questa domanda, il professor Qiaomei Fu (genetista presso l’Accademia delle Scienze di Beijing) tentò di individuare frammenti di DNA all’interno del fossile. Sfortunatamente, il materiale genetico si degrada con facilità e, in questo caso, non si era preservato.

Tuttavia, analizzando le proteine di collagene presenti nei denti (le quali possono conservarsi più a lungo), i ricercatori sono infine riusciti a identificare la specie dell’individuo. Come riportato sul relativo articolo, è stato dimostrato che il reperto proveniva da un Homo denisova, il primo rinvenuto al di fuori dell’omonima grotta.

L’eredità dei tibetani

La scoperta suggerisce che questi antichi uomini fossero, un tempo, ampiamente diffusi sul continente asiatico. Tale teoria è ulteriormente supportata dallo studio del genoma di alcune popolazioni – come i melanesiani – che condividono con l’H. denisova una piccola porzione del loro DNA. Inoltre, le notevoli proporzioni della mandibola e di altri pezzi precedentemente rinvenuti indicano che questa specie possedeva un corpo robusto, simile a quello del suo stretto parente H. neanderthalensis.

Il popolo tibetano ha ereditato dai Denisova una peculiare mutazione del gene EPAS1, che permette loro di sopravvivere ad elevate altitudini, laddove l’ossigeno scarseggia. Normalmente, il corpo reagisce a condizioni di ipossia producendo maggiori quantità di emoglobina – molecola necessaria per trasportare l’ossigeno ai tessuti – con il rischio di provocare un eccessivo addensamento del sangue. La versione modificata di EPAS1 impedisce tale processo.

La scoperta della mandibola nella grotta di Baishiya Karst, posta ad un’altitudine superiore a 3200 m, suggerisce che tale mutazione svolgesse una simile funzione nei Denisova, come affermato dal professor Jean-Jacques Hublin (direttore del Dipartimento di Evoluzione Umana presso il Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, a Leipzig).

Questo studio fornisce agli scienziati ulteriori informazioni per ricostruire l’aspetto, la diffusione e l’evoluzione di H. denisova. La tecnica impiegata dai ricercatori ha permesso, per la prima volta, l’identificazione della specie di un fossile senza disporre di alcun frammento di DNA, ma basandosi unicamente sull’analisi delle proteine. In futuro, ciò potrebbe avere importanti ripercussioni sullo studio dei reperti più antichi, dove il materiale genetico è ormai andato perduto.