Il Museo Nazionale del Cinema di Torino in collaborazione con la Cineteca di Bologna, attraverso i social network, hanno attivato il “Makingof.it”, valido dal 13 maggio al 11 luglio, per la raccolta fondi che saranno utilizzati per il restauro del film L’udienza di Marco Ferreri, nell’ambito del progetto “Un patrimonio da vivere”, che mira alla valorizzazione del fondo Ferreri, donato da Jacqueline Ferreri.
L’iniziativa ha portato al 60% dei fondi necessari per il restauro del film, coinvolgendo chiunque voglia contribuire alla conservazione e valorizzazione di uno dei capolavori del cinema italiano. Questo comporta una consapevolezza diffusa del patrimonio cinematografico e una partecipazione sempre più concreta. Sono diversi i lavori di restauro realizzati dal Museo e dalla Cineteca, trasmettendo il valore del cinema come opera d’arte da tutelare e trasmettere ai posteri. In questo caso, ad esempio, il film avrebbe bisogno di una buona color correction, in sede di restauro digitale, per riprendere il colore che ha perso le sue caratteristiche cromatiche. Il restauro infatti, ha anche il compito di ripresentare il film in una versione più adatta al gusto contemporaneo, nel rispetto del testo di partenza, ma capace di rispondere alle diverse esigenze dello spettatore. “Correggendo” il colore nel film è possibile dunque fare esperienza dell’estetica “originale”, dove per originale intendiamo lo stato più vicino al testo di partenza ma non il testo originale, e riuscire a cogliere anche nella fotografia quel profondo senso di ambiguità che il film intende comunicare, proprio perché anche il colore è una componente carica di significati.
1971. L’udienza di Marco Ferreri mette in scena il fallimentare tentativo di Amedeo (Enzo Jannacci), ex ufficiale in congedo, di parlare con il Papa Paolo VI. Incontra il commissario Diaz, un perfetto Ugo Tognazzi, che lo porterà ad incontrare la prostituta Aiche (Claudia Cardinale), che si innamorerà di Amedeo, l’unico personaggio che, nella sua iniziale ambiguità, mostrerà un briciolo di umanità. Tra i due incomberà una gravidanza, bambino che Aiche decide di tenere nonostante la richiesta di aborto da parte di Amedeo.
Amedeo infatti, è quel personaggio apparentemente ingenuo che entra in scena, ma che nel suo percorso all’interno del Vaticano, si tramuterà man mano in un uomo sempre più oscuro e ossessivo, egoista e feroce.
E’ paradossale infatti. Più ci si avvicina alla Chiesa, più si diventa ambigui. Ogni personaggio incontrato da Amedeo traduce una piccola parte della grande ambiguità che sta nelle fondamenta dell’istituzione cattolica. Non capiremo mai cosa avrà di così importante da dire Amedeo al Papa, in maniera così diretta e intima, ma non è ciò che lo spettatore deve comprendere. Marco Ferreri intende rappresentare l’ambiguità attraverso una serie di concatenazioni di immagini costruite nell’estetica e nella narrazione in modo tale da confondere lo spettatore fino a provare un senso di frustrazione per non essere in grado di comprendere le dinamiche interne della Chiesa e dell’Opera.
La modernità del film in questione è proprio la filosofica ricerca di una forma che corrisponda ontologicamente all’idea (se questa sia chiara) del regista. E’ come se si respirasse l’impossibilità di decifrare una realtà tanto complessa e travolgente. Tutti gli elementi del film contribuiscono a rappresentare questa contorta dimensione. La recitazione, perché gli attori appaiono quasi sospesi tra una verità e una bugia. La fotografia, che lavora sui contrasti e privilegia i colori scuri, quasi nascondendo il lato “puro” che la Chiesa dovrebbe comunicare. La narrazione, perché non si comprendono alcuni nessi, si lasciano immaginare discorsi, si alimenta continuamente un dubbio. La musica, perché si presenta frenetica e incisiva, è una sorta di miscuglio confuso ed eccitato di sonorità; ricorda le campane ma aggiunge un senso di movimento, evocando un percorso, ma difficile ed enigmatico.
Amedeo si reca per l’ultima volta a San Pietro, dove però, dopo l’ennesimo rifiuto, muore colto da una polmonite. La sua ossessione e disperata ricerca di un contatto umano e reale con il Papa, inconsciamente con la natura stessa della Chiesa, si traduce in una risata grottesca. Sembra finire questa dis/avventura, eppure c’è già un altro “Amedeo” che chiede un confronto diretto con il Papa.
Il freddo e annoiato commissario Diaz fa ripartire tutto l’iter canonico per distogliere l’attenzione del cittadino/fedele. Si presenta come il possibile risolutore, creando una serie di contatti e giro di vite in grado di cambiare il Destino dell’uomo che bussa alle porte del Vaticano. Man mano scompare dalla scena, momentaneamente, lasciando addirittura immaginare al protagonista della vicenda (e allo spettatore), di essere egli stesso l’artefice delle proprie azioni, e ad accusare se stesso per non aver saputo cogliere le possibilità offerte dal commissario e dalle persone incontrate. Autodistruzione dunque?. Forse sì. Chi uccide, metaforicamente? L’organizzazione intorno alla Chiesa, l’uomo in quanto fedele che cerca di comprendere le logiche del sistema cattolico, o entrambe le cose?. Il dubbio, è ciò che deve restare, è il senso ultimo del film.
Si può concludere con una dichiarazione di Marco Ferreri del 1967 rinvenuta in Morando Morandini, Marco Ferreri, Aiace, Torino, 1970, p. 5: “Nel cinema scarico tutto quello che incontro e che mi può interessare: vivo la vita che praticamente al di fuori del cinema non vivo. Perché non è che io al di fuori del mio lavoro di regista viva molto di più… per me non esiste tempo libero, il tempo al di fuori del lavoro è tempo morto. Io mi identifico e mi proietto nei film che faccio. Praticamente in ogni mio film ci sono discorsi, ragionamenti, immagini che non potevo fare o vedere se non girando il film“.