S’Accabadora: la tetra figura femminile che regalava la morte

La figura di S'Accabadora: l'inquietante donna vestita di nero che si recava a casa del malato donandogli la morte

S’Accabadora è un personaggio femminile, misterioso, inquietante e vestito di nero durante il suo “lavoro”, una figura facente parte della Sardegna. La donna in questione, secondo la tradizione, si recava nelle case dei moribondi donando loro la dolce morte. Una figura, questa, che sarebbe persistita fino a qualche decennio fa. Questo era il compito della femmina Accabadora: porre fine alle sofferenze delle persone agonizzanti. Studi approfonditi e testimonianze prese da curie, musei e altre istitutizioni, hanno accertato l’esistenza di tale figura, che per molto tempo era stata etichettata come una leggenda, un personaggio del folklore sardo.

S’accabadora: chi era?

S’accabadora era una donna che, chiamata dai famigliari del malato terminale, provvedeva a togliergli la vita, ponendo così fine alle sue sofferenze. Il rituale era molto particolare. S’accabadora entrava nella stanza del moribondo, qui venivano tolte tutte le figure sacre, poiché si pensava che occultando momentaneamente gli oggetti a cui l’agonizzante era più legato potesse velocizzare la morte. Talvolta veniva tolto dalla fronte del poveretto anche l’olio consacrato con cui il sacerdote lo aveva unto durante il rito dell’estrema unzione.

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C’è anche da dire che l’eutanasia è contro il credo cristiano e il togliere tutto ciò che fosse relativo a Dio e ai santi forse era un modo per “coprire gli occhi” al Signore, affinché non fosse lì presente mentre veniva attuata tale pratica proibita. S’Accabadora poneva fine alle sofferenze del malato terminale soffocandolo con un cuscino o usando un particolare martello di legno chiamato “jualeddu”. Un atto pietoso nei confronti del moribondo, ma anche un atto necessario per il benessere economico della sua famiglia.

I più poveri la consideravano un aiuto

Dobbiamo comprendere la situazione locale di alcuni secoli fa in Sardegna. Le famiglie più umili perseguivano l’attività agricola e pastorale. Una vita semplice e piena di stenti. Avere un moribondo in casa era dispendioso e avrebbe rallentato il lavoro dei suoi congiunti. Inoltre, negli stazzi della Gallura e nei piccoli villaggi in cui non vi erano medici la figura di S’Accabadora serviva a evitare lunghe sofferenze al malato. Sicuramente un operato discutibile il suo, che andava contro i valori cristiani e le leggi del nostro stato.

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Allo stesso tempo però S’Accabadora era vista agli occhi di molti come un prezioso aiuto in simili situazioni. La donna arrivava nella casa del moribondo sempre in orario notturno e, dopo aver fatto uscire i famigliari del malato, entrava nella stanza in cui avrebbe liberato il paziente dalla sue sofferenze. La porta si apriva e il malato vedeva entrare Sa Femmina Accabadora vestita di scuro, come la stessa morte. Il viso della donna era coperto. Il moribondo capiva quindi che le sue sofferenze stavano giungendo al termine.

Cosa era il Su jualeddu?

Il precitato attrezzo dell’Accabadora, su jualeddu, era utilizzato dalla stessa sul moribondo come arma per sopprimerlo. Di solito il malato veniva finito con un colpo di quest’arma lignea. Dopo di ciò, S’Accabadora andava via in punta di piedi, quasi avesse compiuto una missione. I famigliari del caro estinto le esprimevano profonda gratitudine per il servizio reso al loro congiunto. S’Accabadora non si faceva mai pagare, tuttavia, in quanto sarebbe stato del tutto contro la morale ricevere soldi per portare la morte.

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Più che altro, S’Accabadora riceveva ricompense in natura, ovvero, prodotti della famiglia del morto, come latte, frutta, verdura, ecc. Il colpo di su jualeddu era quasi sempre diretto alla fronte del moribondo, da cui probabilmente il termine di accabadora. Questa parola potrebbe infatti provenire dallo spagnolo “acabar” “finire”, che significa letteralmente “dare sul capo”. Uno jualeddu è visibile presso il museo etnografico Galluras a Luras, in provincia di Sassari. Si tratta di un ramo di olivastro lungo quaranta centimetri e largo venti.

Il manico di su jualeddu permette un’impugnatura tanto sicura quanto precisa. Su jualeddu (o su mazzolu) fu rinvenuto nel 1981. S’Accabadora lo aveva nascosto in un muretto vicino a un vecchio stazzo che un tempo doveva essere la sua abitazione. In Sardegna S’Accabadora esercitò fino ad alcuni decenni fa, soprattutto nella parte centro settentrionale della regione. Gli ultimi episodi noti con protagonista S’Accabadora avvennero nel 1952 a Luras e a Orgosolo. Oltre ai casi documentati sono numerosi gli episodi giunti a noi in via orale.

I ricordi dei nonni

In Sardegna sicuramente non mancano persone che hanno un nonno o un bisnonno che, in un modo o nell’altro, hanno avuto a che fare con Sa Femmina Accabadora. A Luras, in Gallura, S’Accabadora uccise un anziano di 70 anni. La donna non fu condannata e il caso venne archiviato. I militari, la chiesa e il procuratore di Tempio Pausania concordarono sul fatto che quello della signora vestita di nero fosse stato non un omicidio, bensì un gesto “umanitario”. Erano altri tempi del resto.

Mai condannata

Sembra che non sia mai stata fatta alcuna condanna nei confronti di S’Accabadora, una “missionaria” che si faceva carico materialmente e moralmente di donare una serena morte ai malati verso cui non era possibile fare più nulla. In barba a parecchi studiosi ed etnografi che si erano recati in Sardegna per studiare la storia e le usanze locali (e che ritenevano tale figura un mito) S’Accabadora era al contrario una presenza naturale. Una figura che era anche la naturale antitesi della levatrice: se quest’ultima aiutava a nascere, S’Accabadora aiutava a morire.

Ringraziamo il canale Youtube di Sapiens Sapiens per le preziose informazioni. Qui di seguito proponiamo il video a tema: