THE GRAND BUDAPEST HOTEL

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USA 2014, commedia. Regia di Wes Anderson, con Ralph Fiennes, Tony Revolori, F. Murray Abraham, Adrien Brody, Willem Dafoe, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Saoirse Ronan, Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Tilda Swinton, Tom Wilkinson, Owen Wilson, Mathieu Amalric.

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Prima o poi la Panini, mitica produttrice di figurine di calciatori e non solo, si interesserà alla filmografia di Wes Anderson e lancerà la moda di collezionare le figurine dei personaggi dei suoi film. Vi sembra surreale? Ma perché quello che fa il regista texano nella sua fantasia e scrittura vi sembra reale? Lui non colleziona figurine, le confeziona; prima in fumetti artigianali, che poi cuce addosso ai suoi attori, alcuni dei quali abitué delle sue stravaganti avventure, che lavorano sì anche con altri registi ma che intanto aspettano il prossimo vestito andersoniano. Queste figurine, questi personaggi sono sempre tanti e sempre solitari, non sappiamo nulla della loro vita privata: nel grande hotel posto in cima alla montagna piombano nella storia, danno il loro contributo e poi spariscono.
Il film di Anderson non dà eccessiva importanza alla trama. Ci narra di un testamento, di una morte improvvisa e per mano violenta, di un quadro rubato (che brutto! ma perfettamente in linea con la scarsa avvenenza dei figuranti). Il tutto potrebbe fornire un ottimo spunto per una storia gialla, ma al regista non interessa, non è lo scopo per cui filma i suoi attori. Lui ci racconta poco e quel poco è pure facilmente intuibile, non c’è nulla di intricato. L’obiettivo principale è narrare i personaggi, le figurine, appunto: i loro tic e le loro passioni nell’ambito di una storia che non è certamente il particolare più importante per il regista.10151760_10152116505606406_6622460384145395954_n
La foto del film è presto fatta: in una immaginaria nazione mitteleuropea, fredda e innevata, nel periodo probabile pre-secondo conflitto mondiale, in un ex lussuoso hotel ormai in decadenza (definita una “affascinante vecchia rovina”), inerpicato in cima ad una montagna, che se non avesse quei colori caldi parrebbe un elemento dei bei presepi napoletani settecenteschi, viene raccontata dall’anziano Zero Moustafa una strana storia avvenuta mezzo secolo prima ad un giovane scrittore, il quale a sua volta ce la narra nei nostri giorni guardando dritto nella macchina da presa. Siamo quindi non di fronte al terzo livello cervellotico di Christopher Nolan ma al terzo livello semplicissimo di una matrioska, tanto facile è da impilare la storia di Anderson.

Non ci sono famiglie, eccettuata quella di Madame D. (l’irriconoscibile Tilda Swinton), la vecchia che periodicamente soggiorna nell’austero Grand Budapest e che, come tutte le arzille anziane che si recano lì, viene adulata, circuita e chissà cos’altro dall’esperto concierge che da anni accoglie elegantemente e perfettamente tutti gli ospiti (soprattutto “le” ospiti). Questi è il protagonista della storia, la figurina principale, Monsieur Gustave: raffinata e profumata persona che conosce le abitudini dei clienti, che coccola con efficace puntualità. Non è particolarmente legato ad altre persone e difatti, quasi inaspettatamente, si affeziona all’ultimo dipendente assunto nell’hotel. Talmente ultimo e poco considerato all’inizio che il suo nome, nomen omen, è addirittura “Zero”, che poi è lo stesso Moustafa (Tony Revolori, al suo vero debutto in un lungometraggio) che, una volta invecchiato (F. Murray Abrahm), racconta la stramba avventura vissuta al servizio di M. Gustave (il perfetto Ralph Fiennes) ad un interessato giovane scrittore (Jude Law) che poi ne trarrà un libro.Locandina (2)
Questa assortita coppia è la protagonista e le altre colorate (nell’abbigliamento) figure della trama, ognuna con le sue peculiarità, parteciperanno ad una sorta di caccia al tesoro che impegneranno duramente il fisico ed il morale dei due. Viaggiando (attenzione però, sempre con la loro livrea di servizio!), scappando, sciando, inseguiti e inseguendo, troveranno la fortuna di una eredità, quella della eccentrica Madame D., il cui figlio Dmitri (un cattivissimo Adrien Brody) si oppone strenuamente e con ogni mezzo all’esecuzione del testamento della mamma. Con ogni mezzo vuol dire anche l’uso delle maniere forti, anche tramite la violenza e le armi del suo emissario e killer Jopling (un feroce Willem Dafoe): entrambi di nero vestiti, colore che il regista usa quindi per significare la violenza e la ferocia dei due tizi.GRAND BUDAPEST HOTEL_426.jpg

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Se poi a queste figurine aggiungiamo una bella pasticciera (Saoirse Ronan), un poliziotto goffo come il capo boy scout di “Moonrise Kingdom” (il solito andersoniano Ed Norton), un puntiglioso avvocato di famiglia e controllore dei conti dell’albergo (Jeff Goldblum) e poi un temibile ma leale galeotto (il seminudo e pelato Harvey Keitel) e poi ancora altri, tra cui l’immancabile Bill Murray, ecco che la collezione di figurine è al completo.
E’ evidente che tanti di questi attori non aspettano altro che la telefonata di Wes Anderson e accettano qualsiasi ruolo nei suoi film, anche se di contorno e per qualche minuto: l’importante è essere, come confetti, nella bomboniera colorata del regista texano. Regista che ama raccontare la fisicità dei suoi personaggi, che parlano come in alcun altro film, che vivono in mondi colorati e affrontano una vita insolita e avventurosa quando tutto invece pare filare liscio.
E’ un film, come i suoi altri, autoriale, in cui forse il regista dà l’idea di un certo autocompiacimento, che però dà importanza ai personaggi, con la tavolozza dei colori in mano al pittore-autore. Anche se piacevolissimo e da godere, il mio voto è solo da sufficienza piena, dal momento che purtroppo chi scrive non è capace di emozionarsi più di tanto con questo tipo di cinema: il mio giudizio finale è quindi la media tra la innegabile abilità del regista nell’elaborare la sua opera e lo scarso entusiasmo che mi anima nell’osservarla. Senza trascurare che sono tutti bravissimi: gli attori e il loro concertatore.