Macchi: Binda assolto! Ecco l’approfondimento

Sono passati più di trentanni e ancora l'assassino di Lidia non ha un nome

Stefano Binda, è passato dalla condanna all’ergastolo alla libertà. La corte di Assise di Milano, ha assolto l’imputato Stefano Binda, accusato di aver ucciso Lidia Macchi nel 1987. Un totale ribaltone, rispetto alla sentenza di primo grado, che lo aveva appunto condannato all’ergastolo.

L’omicidio Macchi, la storia

Lidia Macchi era una bella studentessa ventunenne che fu trovata morta in un boschetto. Il corpo martoriato da una trentina di coltellate. Una violenza sessuale subita. Accanto al corpo la sua borsetta, contenente una lettera e gli effetti personali. Sul corpo prelevati campioni di liquido seminale. Ai piedi ancora gli stivali nuovi regalati dal padre. Fin dall’inizio le indagini si sono svolte nell’ambiente religioso frequentato dalla vittima. Ambiente ben conosciuto, anche dal maggiore sospettato, il compagno di liceo Stefano Binda. Furono ascoltati varie personalità religiose, ma le indagini non ebbero un esito positivo. Anzi, arrivarono ad un punto morto. Dall’ufficio corpi di reato di Varese spariscono 11 vetrini con liquido seminale dell’assassino. Probabilmente, se esaminati con le nuove tecniche avrebbero potuto portare al suo Dna, e quindi all’assassiono.

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Chi è Binda e come entra in questa storia?

Stefano Binda, uomo di grande cultura, amico della vitttima. Uomo intelligente, ma che era sprofonato nella tossicodipendenza da parecchi anni. Entra nell’intricato omicidio Macchi a causa della loro compagna Patrizia Bianchi. La donna con cui aveva avuto anche una storia l’impitutato, diventa una maggiore accusatrice. Sente in tv che la vittima aveva in borsa una poesia di Cesare Paese. La stessa, che Stefano Binda era solito recitare. Da qui partono i primi sospetti. Viene disposta una perizia calligrafica che attribuisce al sospettato la paternità dello scritto. E poi la lettera che tanto verrà dibattuta e che costituirà una prova importante recapitata ai genitori. Da qui i sospetti diventano prove. Il 15 gennaio 2016 Binda viene arrestato. Viene imputato e condannato in primo grado.

L’accusa mossa a Binda

Secondo il sostituto pg Gemma Gualdi, Stefano Binda è l’assassiono della giovane Macchi. Omicidio avvenuto a Cittiglio (Varese) nel  1987. Ha richiesto per l’imputato l’ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale. Sue le parole: “Il poeta anonimo è certamente Stefano Binda” e “Binda ha scritto quella lettera perché ha vissuto i fatti descritti“. È un passaggio della requisitoria che si basa su alcuni scritti trovati successivamente alla morte della ragazza. Una lettera infatti, che sarebbe stata recapitata ai genitori della Macchi, il giorno dei suoi funerali. Secondo l’accusa, il cinquantunenne avrebbe portato la giovane in un boschetto appartato, per poi violentarla ed infine ucciderla. Oggi, invece dopo tre anni di carcere, Binda lascerà il carcere.

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La lettera inviata alla famiglia Macchi

Da sempre la lettera inviata ai familiari è stata considerata la prova contro l’imputato. Lo scritto conteneva un’ode struggente dal titolo «In morte di un’amica» Racconta i dettagli dell’omicidio della studentessa ventenne, avvenuto con 29 coltellate. Si parla di una notte gelida, il cielo stellato, di un «velo strappata» di corpo offeso, velo di tempio strappato» che pare una chiara allusione alla verginità violata di Lidia. Ma in appello, la prova non sembra più così forte. Questo a causa di una deposizione shock dell’avvocato Piergiorgio Vittorini. Secondo il penalista sarebbe un altro l’autore. Ecco la sua deposizione: «Un mio cliente mi ha detto di essere l’autore di quella missiva”. L’uomo si sarebbe presentato nel suo ufficio a febbraio 2017, un anno dopo l’arresto di Binda. «A oltre trent’anni il segreto mi sta lacerando l’anima, ho una famiglia, ho dei figli. Ho scritto io la lettera inviata alla famiglia di Lidia». Il professionista però, essendo sottoposto a segreto professionale, non ha rivelato l’identità del reo-confesso.

L’innocenza di Binda: “Non ho ucciso Lidia Macchi”

Stefano Binda, unico accusato dell’omicidio avvenuto ben 32 anni fa si è sempre dichiarato innocente. E lo ha fatto anche davanti alla Corte d’Appello. “Sono innocente. Non ho ucciso Lidia Macchi, non l’ho uccisa“. E’ questa la dichiarazione spontanea che l’uomo ha reso davanti ai giudici. Poi ha proseguito: “Io non so nulla di quella sera: ero a Pragelato, solo quando sono tornato ho saputo della scomparsa. Sono estraneo ai fatti e a tutti gli addebiti”.E stavolta i giudici gli hanno creduto. E allora rimane aperta una domanda: Chi ha ucciso Lidia?

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Le dichiarazione degli avvocati di Birda

“Vorremmo che questa immagine di Stefano Binda di un pazzo con la doppia personalità venisse cancellata – ha detto PatriziaEsposito, che con Sergio Martelli lo ha difeso. Ha poi proseguito: “Non ho sentito una sola parola sul movente, che è stato costruito dopo la consulenza psichiatrica. In questi anni Binda non ha mai compiuto un gesto di violenza, e ha sempre pagato per i suoi errori”.

La reazione della famiglia Macchi

Un processo che si è concluso troppo in fretto, secondo la famiglia della vittima. «Credo che servisse un minimo di approfondimento in più. Forse è stata una sentenza affrettata», ha detto Stefania Macchi, la sorella di Lidia. Annunciato già il ricorso in Cassazione, del legale di parte civile, l’avv. Daniele Pizzi, contro l’assoluzione. Restiamo in attesa di scoprire la verità e la giustizia per Lidia Macchi!