Per la prima volta nella storia, è stato ottenuta l’immagine di un buco nero, distante decine di milioni di anni luce dalla Terra. Lo storico risultato è il prodotto dello sforzo congiunto di oltre 60 istituti scientifici da tutto il mondo, al quale l’Italia ha contribuito con l’Istituto di Fisica Nucleare (INFN) e l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).
L’annuncio è stato dato durante conferenze stampa tenutesi contemporaneamente a Bruxelles, Shanghai, Taipei, Tokyo, Washington e Santiago del Cile. L’immagine fornisce ulteriori conferme alla teoria della Relatività Generale, formulata da Albert Einstein.
La teoria di Einstein
Albert Einstein nacque a Ulma, in Germania, il 14 marzo 1879. Egli è considerato uno dei più grandi scienziati mai vissuti che, grazie alle sue brillanti intuizioni, ha contribuito enormemente al progresso del sapere umano. Tra i suoi numerosi traguardi, è impossibile non citare la teoria della Relatività Generale, pubblicata nel 1915.
Einstein descrisse la causa del moto degli oggetti – con particolare riferimento al moto indotto dalla forza di gravità – come l’effetto di una deformazione dello spaziotempo. Perciò, secondo tale teoria, l’attrazione gravitazionale fra i corpi è dovuta alla curvatura dello spazio provocata dalla loro massa.
Questo effetto può esser paragonato a quello che si ottiene appoggiando una biglia su un foglio. Essa, col suo peso, determinerà una deformazione del foglio e, qualora vengano poste nelle vicinanze altri oggetti, verranno attratti ad una velocità proporzionale alla curvatura della superficie (la quale, a sua volta, dipende dal peso della biglia).
La teoria formulata da Einstein è perciò in grado di spiegare efficacemente il comportamento dei cosiddetti “buchi neri”. Questi, sono oggetti dalla massa elevatissima e concentrata in uno spazio relativamente ridotto, derivanti dal collasso di stelle molto massicce, giunte alla fine del loro ciclo vitale.
Tali proprietà determinano un’estrema deformazione del tessuto spaziotemporale, generando una forza di attrazione gravitazionale tale da impedire perfino alla luce di sfuggire (da ciò deriva il nome dato a questi corpi). Attorno al buco nero si delinea così una superficie detta “orizzonte degli eventi”, che racchiude la regione di spazio da cui nulla può fare ritorno. Di conseguenza, è possibile attraversare questo confine dirigendosi verso il buco nero, ma non il contrario.
La foto del buco nero M87
Al fine di conseguire questo eccezionale traguardo, il Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) ha stanziato – nell’arco degli ultimi 5 anni – 14 milioni di euro per finanziare il progetto Event Horizon Telescope (EHT).
Prima d’ora, la presenza dei buchi neri poteva esser rilevata – mediante osservazioni indirette – valutando gli effetti prodotti da questi ultimi sullo spazio circostante. Ad esempio, qualora vi siano stelle orbitanti il buco nero, è possibile calcolare la posizione e la massa di quest’ultimo dall’analisi delle loro orbite.
Tuttavia, il progetto EHT è riuscito a produrre la prima prova visiva di un buco nero tramite l’impiego di 8 radiotelescopi – in quanto le onde radio penetrano meglio il materiale sospeso nello spazio – dislocati in varie parti del mondo. Combinando i dati raccolti da ognuno di essi – mediante la tecnica definita “interferometria a lunghissima base” – gli scienziati hanno avuto a disposizione un “occhio” di dimensioni planetarie. Grazie ad esso, è stato possibile investigare i più reconditi angoli dello spazio, e perfino studiare un oggetto così piccolo (se paragonato a strutture colossali come le galassie).
Il buco nero fotografato si trova al centro di M87, una gigantesca galassia ellittica sita nell’ Ammasso della Vergine, e distante approssimativamente 53 milioni di anni luce. Il progetto EHT prevedeva di fotografare anche il buco nero presente al centro della nostra galassia – la Via Lattea – chiamato Sagittarius A. Tuttavia, la spessa coltre di gas e polveri, posta fra noi e il corpo celeste, ha complicato la produzione di un’immagine nitida.
Come affermato da Lord Martin Rees (astronomo reale presso la corte di Inghilterra), M87 si trova a una distanza 2000 volte superiore ma, contemporaneamente, presenta dimensioni altrettanto maggiori (esso infatti ha una massa 6,5 miliardi di volte superiore al nostro sole, mentre Sagittarius A di appena 4 milioni di volte).
I dati confermano la Relatività Generale
L’immagine ottenuta dai ricercatori mostra un anello di colore arancione che circonda un’area centrale completamente nera. Questa zona d’ombra è prodotta dall’orizzonte degli eventi, laddove la forza di gravità è tale da impedire perfino alla luce di allontanarsi. L’anello colorato rappresenta invece un disco di gas incandescenti, che ruota mentre ricade verso il buco nero. La porzione inferiore assume una tonalità più accesa in quanto il materiale si muove nella nostra direzione.
Nella foto, la zona d’ombra appare di forma circolare, in accordo con i calcoli pubblicati nella teoria della Relatività Generale. Come spiegato da Fabio Pacucci (fisico esperto in buchi neri e vincitore del premio Livio Gratton), ciò indica che i principi di tale teoria sono validi anche in condizioni estreme, come quelle che si trovano nei pressi di un buco nero.
Casualmente, questo risultato arriva esattamente 100 anni dopo la prima conferma delle ipotesi di Einstein. Nel 1919, fu scattata una foto di un’eclissi solare dove erano visibili stelle che avrebbero dovuto esser coperte dal Sole. Tale effetto fu provocato dalla deviazione della luce indotta dalla forza gravitazionale della nostra stella.
Grazie ai dati forniti dal progetto EHT, è stato inoltre possibile stimare direttamente la massa di M87, i cui valori appaiono compatibili con quelli ottenuti mediante tecniche tradizionali (basate sullo studio delle orbite di stelle che ruotano attorno al buco nero).
Tuttavia, gli scienziati non sono riusciti a determinare con esattezza il diametro dell’orizzonte degli eventi poiché sarebbero necessari ulteriori dati. Le dimensioni del buco nero sono stimate attorno ai 40 miliardi di km (maggiori di quelle del nostro Sistema Solare!).
L’enorme mole di dati, elaborati mediante uno specifico algoritmo, ha messo a disposizione sufficiente materiale per la pubblicazione di 6 articoli – rilasciati sulla rivista Astrophysical Journal Letters. In futuro, i ricercatori intendono ottenere un’immagine altrettanto definita di Sagittarius A, il gigante che abita la Via Lattea.