Povertà: milioni di indigenti

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“Dato non negativo per un fenomeno così pesante. La quota delle famiglie in povertà è stabile,ma elevata”.
Così commenta il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, all’ indomani dell’uscita del report sulla povertà delle famiglie italiane.

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La povertà assoluta colpisce più al sud, con un incidenza maggiore nelle zone rurali. Mostruoso il dato relativo ai giovani, tra i 18 e i 34 anni, e alle donne: rispettivamente 857 mila e 22 milioni 44 mila.
Preoccupante anche il dato dei minori che vivono in condizioni di povertà assoluta,sia alimentare che educativa: 1 milione 45 mila circa .
Tanto inquietante che Raffaella Milano, di Save the children, incalza:
” Necessario , urgente un piano organico di contrasto alla povertà minorile “.

La povertà relativa, sempre più diffusa al sud, incide maggiormente nelle famiglie con a capo un operaio ( 15,5 % ) rispetto a quelle tra gli autonomi ( 8,1 %); decisamente superiore.

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Eppure,il nostro presidente twitta che ” se manteniamo questo ritmo sulle riforme avremo dati di crescita significativi“.
Ingenuamente, forse, sfugge al nostro presidente del Consiglio la differenza tra dati “non negativi” e crescita.
Ma quello che il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, voleva intendere è chiarissimo: mentre manca la crescita, la povertà assoluta si cristallizza e diventa difficilmente estirpabile se non con interventi radicali.
Ma i 10 miliardi all’anno,stanziati per gli 80 euro in più nella busta paga di un ceto medio impoverito, non sono una misura in tal senso. O almeno, non possono bastare a frenare la crescita dell’esclusione sociale totale.

E intanto,resta fuori dall’orizzonte mentale del governo, qualsiasi forma di tutela universale contro la povertà; “incostituzionale”, secondo il premier, nella sua formulazione di “reddito di cittadinanza”.

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Una legge in questo senso sarà presentata a settembre,in Senato, da Movimento 5 stelle e Sel.
Il reddito di cittadinanza, nella sua proposta, avrebbe un costo che oscilla tra i 14 e i 23 milioni di euro annui, finanziabile con la fiscalità generale e una riorganizzazione degli ammortizzatori sociali.
Consisterebbe in un’erogazione monetaria compresa tra i 650 e i 780 euro mensili in cambio del consenso di un’offerta di lavoro coerente e dignitosa.

Esiste anche un altro progetto,da qualche tempo ormai avanzato : il ” reddito di inclusione sociale”; proposta da un cartello, “alleanza contro la povertà”, composta da Acli, Cgil, Cisl e Uil.
Ieri questa idea è stata rilanciata dai suoi ideatori e ripensata secondo l’attivazione di una rete di solidarietà tra enti locali, comunità e servizio civile.

Ma anche lo stesso presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, parla di reddito di minimo, attraverso i numeri:
Le stime hanno fissato il costo del provvedimento dei Cinque Stelle in 14,9 miliardi di euro annui, quello di Sel in 23,5 miliardi. La prima proposta garantisce un livello minimo di risorse a 2 milioni 640 mila persone con reddito inferiore all’80% della linea di povertà relativa. La seconda è un’erogazione universale a tutti coloro che sono in povertà, sono alla ricerca di un lavoro, o lavorano precariamente e aumenta nelle famiglie con più componenti.

Se approvata, il reddito minimo potrebbe seriamente invertire la tendenza del radicamento della povertà in Italia.
E forse allora, potremmo davvero parlare di “ svolta oggettiva della crescita” (ndr. Matteo Renzi) .
E forse anche, di umanità.

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