Recovery Fund, le liti e i distinguo che ostacolano la procedura

Il recovery Fund è sulla rampa di lancio ma il decollo ritarda per i contrasti giuridici tra i Paesi memrbi con ritardi pericolosi per l'Italia

Il Recovery Fund, ciambella di salvataggio europea per fronteggiare i danni economici da Covid-19 sembra impantanarsi tra liti e distinguo che ostacolano la procedura in un momento di grave emergenza, specie per l’Italia. Le difficoltà a trovare la sintesi tra 27 Pesi diversi emergono specialmente quando entrano in gioco le questioni economiche.

Il braccio di ferro tra Germania, Francia, Polonia e Ungheria

La famosa potenza di fuoco dell’Unione europea da 750 miliardi, di cui l’Italia dovrebbe beneficiare, ricevendone 209 tra prestiti ed erogazioni a fondo perduto, si è bloccata per un contenzioso giuridico che ha scatenato il braccio di ferro tra Germania e Francia da un lato, Polonia e Ungheria dall’altro.

La faccenda nasce dalla clausola sullo “stato di diritto” che la Germania considera un requisito giuridico essenziale per i Paesi che accedono agli aiuti europei. In caso di violazioni dei diritti fondamentali per i cittadini, o di semplice rischio che avvengano, scatterebbero la privazione o la sospensione dei fondi europei al Paese incriminato.

Secondo Polonia e Ungheria, la norma è talmente fluida, su temi delicati come cultura, diritti e immigrazione, da prestarsi a interpretazioni arbitrarie e, in conclusione, i governi di Varsavia e Budapest si sono appellati al diritto di veto bloccando di fatto il processo di approvazione del bilancio 2021-2027 al consiglio dell’Unione Europea che deve far decollare anche Next generation EU, o Recovery Fund, con un pacchetto complessivo da 1.800 miliardi di euro.

Due visioni europee contrapposte

Secondo la ricostruzione di Emanuel Pietrobon per Inside over, il ricorso al veto degli ambasciatori ungherese e polacco fanno presagire che non sarà semplice per Berlino imporre la sua visione di uniformare alle leggi europee il potere legislativo, esecutivo e giudiziario delle altre nazioni, e compiere una radiografia della tutela dei diritti umani e civili nei Paesi del gruppo di Visegrad, che rispondono alle accuse di sovranismo, dichiarando che l’accesso condizionato ai fondi europei è chiaramente ideologico.

E’ evidente che il premier ungherese Viktor Orban e il collega polacco Mateusz Morawiecki  puntano a un accordo più elastico che permetta di appellarsi in caso di sanzioni e sia più equilibrato a livello giuridico, ma Pietrobon sottolinea che da tempo Germania e Francia puntano a frenare l’agenda di Budapest e Varsavia perché la ritengono troppo conservatrice.

In particolare ci sono ampie divergenze con i Paesi di Visegrad su temi scottanti come l’aborto, diritti lgbt e la difesa delle radici culturali e identitarie, quindi sono due visioni contrapposte che si scontrano sempre più spesso. Il boicottaggio dei Paesi dell’Est ha il sostegno di altre nazioni come la Slovenia che, pur non essendo apertamente schierata, ha espresso contrarietà alla clausola sullo stato di diritto attraverso i canali diplomatici e incoraggia un compromesso equilibrato.

Lo stallo nelle trattative

La situazione rischia quindi di ingarbugliarsi e fare perdere tempo a Paesi come il nostro che hanno le casse vuote, una pressione fiscale sempre meno sostenibile e il 38,9% delle piccole imprese a rischio di chiusura entro pochi mesi, con la perdita potenziale di 3,6 milioni di posti di lavoro, oltre alle centinaia di migliaia già bruciati e l’indotto sempre più a rischio.

In ogni caso, i finanziamenti a fondo perduto del Recovery Fund cominceranno ad affluire a tranche e solo se risponderanno a precisi progetti di spesa che Bruxelles deve avallare. Francia e Spagna hanno già presentato i loro piani mentre il governo Conte ha tempo fino a metà gennaio 20121 per presentare quello italiano, ma si dibatte tra mille richieste dei vari ministeri che ancora non hanno raggiunto una sintesi.

La fragilità crescente dell’Italia

In questo aspro confronto europeo, l’Italia rischia quindi di finire come il vaso di coccio tra quelli di ferro e l’allarme che lo stallo possa prolungarsi oltre misura lo lancia Paolo Gentiloni, commissario all’Economia, che invita a “superare le attuali difficoltà su Next Generation EU e farlo al più presto per i cittadini, gli Stati e i mercati“.

L’Italia è anche alle prese con la manovra di bilancio in cui, secondo l’Europa, ci sono molte misure che non sono di semplice emergenza per uscire dalla crisi Covid, ma potrebbero essere permanenti e spaziano dal bonus famiglia, all’estensione del credito fiscale fino ai contributi sociali nelle aree più povere e aumenti di risorse per ministeri e servizi pubblici.

In pratica, è un lungo elenco della spesa che, causa debito pubblico altissimo, contrazione dei consumi e difficoltà a garantire elevati introiti fiscali nel lungo periodo, potrebbero mancare in parte di copertura finanziaria e diventare un problema insostenibile, se il Recovery Fund non intervenisse massicciamente e in tempi brevi.

I problemi italiani nella procedura del Recovery Fund

Al momento, esiste un accordo fra i negoziatori del Consiglio Ue e dell’Europarlamento sul cosiddetto React-Eu, cioé lo stanziamento straordinario di 47,5 miliardi di euro per le conseguenze del Covid-19. Si tratta di una dotazione compresa nel Recovery Fund, da stanziare in due anni. L’Italia avrebbe diritto a 13,5 miliardi di questa somma, ma spalmati tra 2021 e 2022. Inoltre, su 209 miliardi previsti il primo 10%, pari a 20 miliardi, richiederà alcuni mesi di verifiche e procedure burocratiche prima dello stanziamento.

Il rischio è che i primi soldi arrivino verso la fine dell’anno prossimo e comunque non prima del secondo semestre e, dato che l’Italia resterebbe a secco troppo a lungo, rientrerebbe in scena il ricorso al Mes da 36 miliardi, almeno per fronteggiare le spese sanitarie legate al Covid.

Tuttavia ci sono tre problemi: la spaccatura della maggioranza giallo-rossa sul tema, la clausola di sorveglianza allentata europea, che comunque esiste fino alla restituzione di almeno 75% della somma, e il tasso d’interesse sul prestito superiore (0,8%) al rendimento dei titoli pubblici italiani, fermi intorno a 0,6%.

Il parere di Nicola Porro

Secondo Nicola Porro, vicedirettore del Giornale e conduttore di Quarta Repubblica, l’Europa paga lo scotto alla mancanza di visione chiara e assenza di strategie comuni. In ogni caso, ci sono tre modelli economici da mettere a confronto sulla scena mondiale:

  • Il sistema pianificato comunista cinese punta al successo limitando le libertà civili a favore di quelle economiche, con l’aiuto di scarsa trasparenza internazionale e dura repressione. Pechino ha contrastato il virus anche con duri lockdown, ma guarda al futuro e ha firmato in questi giorni un patto di libero scambio con altri 14 Paesi asiatici, tra i quali il Giappone, che vale 30% del Pil mondiale e prevede la riduzione dei dazi nelle rispettive economie
  • Il modello americano è un mix di capitalismo e libertà, allergico ai lockdown di tipo cinese o italiano, ma pronto a investire su vasta scala. Il presidente Trump ha sborsato 2,5 miliardi di dollari a fondo perduto alle case farmaceutiche per trovare il vaccino non solo per immunizzare la popolazione, ma per far ripartire l’economia in tempi brevi, grazie anche a migliaia di miliardi che sono arrivati subito sui conti correnti per difendere i consumi, con una media di 1.200 dollari per l’85% delle famiglie americane.
  • Il sistema europeo è un ibrido fra i primi due, ma i Paesi membri non marciano uniti e basta il veto di alcuni per bloccare l’intero sistema che ne coinvolge 27, proprio come sta avvenendo per il Recovery Fund.

Gli effetti dello stallo negoziale

In conclusione, l’Europa si distacca dalle autocrazie di tipo cinese, ma ha troppi meccanismi centralistici e visuali contrapposte che impediscono di perseguire libertà civili e di mercato su modello anglosassone e il Recovery Fund risente di troppe liti e distinguo che ostacolano la procedura. Non a caso, anche la Brexit rischia di essere uno strappo traumatico tra visioni contrapposte, negoziati in affanno con Londra e l’Italia frastornata che aspetta e spera nella ciambella di salvataggio per evitare l’annegamento.