Il mio è un parere tutt’altro che autorevole, ho sempre sostenuto il mio punto di vista da spettatore come semplice seppur appassionato. Però mi sento di affermare che ora ci siamo. Spider-man è tornato, e in una veste “correttamente” moderna.
Il primo capitolo della nuova saga del Tessiragnatele non aveva convinto del tutto. Nonostante fosse un film godibile, aveva riscosso opinioni molto divergenti e non era riuscito ad eguagliare i magnetici input emotivi della saga precedente di Sam Raimi (almeno per ciò che riguarda i primi due capitoli).
La nuova, annunciata, trilogia trae fondamenta dalla versione cartacea Ultimate Spider-man del 2000, rivisitazione moderna della storia di Peter Parker che ne amplia la versione originale. Infatti i nuovi albi a fumetti vennero realizzati a cura di Brian Michael Bendis, il quale prese le 11 pagine originali del 1962 e le estese in una saga di 150 pagine, affrontando tematiche e avvenimenti che approfondiscono l’universo dell’Arrampicamuri sino a portare alla luce le sue reali origini.
The Amazing Spider-man 2 – Il potere di Electro non è soltanto un bel film, ma rappresenta finalmente il corretto ammodernamento di una saga alla quale serviva nuova linfa senza però dimenticare un aspetto fondamentale: la moderazione. Un fattore che nel genere fantastico fà la differenza.
Il regista Marc Webb dimostra in questa seconda pellicola della saga di saper gestire con moderazione una storia volutamente piena di personaggi e di situazioni da dover inevitabilmente far incastrare tra loro.
Spider-man è ormai famoso nella sua New York, acclamato e nel contempo contestato da una parte dell’opinione pubblica fuorviata dall’informazione dei telegiornali e della carta stampata (il Daily Bugle ovviamente, del quale avvertiamo la presenza senza mai vederne l’irascibile direttore J.Jonah Jameson, dal momento che ormai Peter vende le foto del Supereroe tramite posta elettronica). Durante le sue quotidiane imprese di salvataggio Peter è costantemente combattuto nel vivere la sua storia d’amore con Gwen Stacy, col cui padre aveva nel capitolo precedente suggellato una solenne promessa in punto di morte: stare lontano da Gwen per non coinvolgerla nelle eventuali diatribe tra Spider-man e i suoi nemici.
Nel frattempo vediamo nascere e crescere le figure che gli faranno da contraltare, con i loro tormenti e le loro motivazioni che li condurranno all’odio nei confronti del nostro eroe.
Max Dillon, ingegnere elettrotecnico alle dipendenze della Oscorp, un uomo insicuro con gravi problemi di interazione sociale. Harry Osborn, amico d’infanzia di Peter, ora subentrato al moribondo padre nella direzione dell’azienda e che scoprirà ben presto validi motivi per avercela col mondo intero.
In tutto questo (e molto ancora…) c’è spazio anche per una nuova scoperta che riguarda gli avvenimenti che hanno portato alla morte i suoi genitori e le sue origini, come essere umano e come supereroe.
Era piuttosto difficoltoso rappresentare una storia che come ogni cap. numero 2 di una saga propone l’evoluzione di concetti appena introdotti nel cap. numero 1. Dare spazio a tutti i personaggi con le proprie storie e trovare la chiave per raccontarle tutte nella loro essenza. Questo calderone viene gestito egregiamente dalla mano di Marc Webb, dosando bene momenti romantici e situazioni di tormento interiore, sequenze d’azione ed effetti speciali. In modo inaspettato sono numericamente predominanti le scene di dialogo tra Peter e gli altri personaggi della vicenda, in particolare la sua amata Gwen, ed è proprio la bella costruzione di queste a non farci sentire la mancanza di puro spettacolo visivo nel corso del film. La pellicola viene ben ritmata non tanto dalle situazioni in sé ma da come vengono inanellate in un percorso fluido, che instilla nello spettatore una crescente attenzione e curiosità.
Volendo fare un paragone con la prima pellicola, sembra quasi che fosse necessario un tessuto narrativo complesso da gestire per tirar fuori il talento del regista nel raccontarci una storia in cui ogni cosa deve avere il giusto peso e tutti i personaggi devono avere la giusta misura di interazione tra loro. Un’impresa riuscita ad esempio al Joss Wedon di The Avengers in cui è impressionante l’equilibrio concettuale e di presenza su scena mantenuto da tutta la storia.
Insomma la presentazione di un protagonista con la consapevolezza della strada che egli dovrà seguire nella vita, impostazione classica di un “primo capitolo”, non bastava al regista di 500 giorni insieme per realizzare un film con la stessa verve di questo secondo film della saga, che promette quasi un terzo capitolo ancor più affascinante.