Aveva solo 6 anni Alfredino Rampi quando cadde in un pozzo a Vermicino (Roma) il 13 giugno 1981. Un caso di cronaca nera eclatante, per la sua tragicità e il fatto che la vittima fosse solo un bambino. Immagini crude quelle che propose la tv dell’epoca, mentre si tentava di salvare la vita del piccolo Alfredino, destinato a morire in quel pozzo in cui cadde per pura casualità. Il teatro della tragedia è una piccola frazione di campagna, a poca distanza da Frascati. Alfredino Rampi lasciò questo mondo dopo quasi 3 giorni di paura, agonia e attesa di essere salvato. La storia di Alfredino Rampi è nota come tragedia di Vermicino, dal nome (appunto) del luogo dove avvenne il tutto. Purtroppo, una tragedia molto simile a quella di Alfredino accadde anche in Spagna lo scorso anno. Stiamo parlando del triste caso del piccolo Julen, un bambino di soli 2 anni. Il piccolo lo scorso anno era caduto in un pozzo della profondità di 100 metri. I soccorritori erano riusciti a raggiungere il suo corpo, oramai senza vita, solo dopo 13 giorni dall’incidente.
Alfredino Rampi: perché cadde nel pozzo?
Era un’estate di giugno 1981. Alfredo Rampi, detto Alfredino, stava trascorrendo con la famiglia le vacanze estive in una località compresa tra Roma e Frascati. Il 10 giugno, Alfredino uscì per fare una passeggiata in campagna assieme al padre e ad alcuni amici. Il padre, tuttavia, lo perse di vita e la famiglia andò nel panico. Allertate le forze dell’ordine, iniziarono le ricerche del bambino. Tra le zone ispezionate, anche un terreno vicino l’abitazione dei Rampi, dove si stavano eseguendo dei lavori per la costruzione di un edificio. Lì era presente anche un pozzo, ma si escluse in un primo momento la possibilità che il piccolo vi fosse caduto, in quanto la buca era chiusa da una protezione in lamiera. Tuttavia, un agente di polizia insistette a voler controllare il pozzo, per controllare se Alfredino potesse essere finito lì. Il poliziotto aveva ragione da vendere: una volta ottenuto il permesso, l’agente iniziò a sentire i lamenti del bambino. Si scoprì, in seguito, che il proprietario avesse coperto il pozzo dopo la caduta di Alfredino, non potendo mai pensare ad una simile, terribile, eventualità. In data 10 giugno 1981 iniziarono le procedure per liberare il bambino.
I tentativi per soccorrerlo
I primi tentativi per soccorrere Alfredino Rampi si rivelarono fin da subito molto ardui e incerti. Bisogna sapere, in primis, che l’imboccatura del pozzo aveva una larghezza di soli 28 centimetri. La buca, inoltre, aveva una profondità pari a 80 metri, caratterizzata, inoltre, da pareti impervie e irregolari. Una lampada rivelò che il bimbo era intrappolato ad una profondità di 36 metri, impossibilitato a muoversi a causa di una rientranza. Il primo tentativo di liberare il piccolo fu fallimentare: venne calata una tavoletta di legno all’interno della buca per permettere al piccolo di aggrapparvisi. Sfortunatamente, questa si incastrò a 24 metri. La corda a cui era legata si spezzò di conseguenza. Il pozzo era ostruito. Durante la sera arrivarono anche i tecnici Rai che, calando i propri strumenti di lavoro, permisero ad Alfredino di comunicare con l’esterno.
L’arrivo degli speleologi
Il successivo tentativo di recuperare Alfredino Rampi venne fatto da un gruppo di giovani speleologi facenti parte del Soccorso Alpino. Due di loro, a turno, si calarono all’interno della galleria del pozzo, al fine di rimuovere la tavoletta di legno che ostruiva il passaggio. Entrambi i tentativi fallirono a pochi metri dall’obiettivo. Esclusa la possibilità di poter arrivare al bambino tramite l’imboccatura, si optò per creare un tunnel verticale ed un altro orizzontale. L’intenzione era quella di giungere, perlomeno, al punto in cui si trovava il bimbo. Le operazioni, anche in questo caso, risultarono essere molto difficili, a partire dalla consistenza del terreno, non semplice da perforare.
Intanto, Alfredino iniziò a lamentare la sete, chiedendo di voler bere, alternando momenti di veglia e di sonno. Come se questo non bastasse, Alfredino Rampi era afflitto da un problema al cuore: una cardiopatia congenita. A breve, il piccolo, avrebbe dovuto affrontare un’operazione. I giornalisti Rai, a metà giornata, iniziarono la diretta dal luogo in cui si stava consumando la tragedia. Una diretta durata ben 18 ore. Nel corso della giornata, sul posto si raccolsero anche numerose persone incuriosite da quello che stava accadendo. Ma come proseguirono le operazioni?
Quel silenzio inquietante
Nonostante il prosieguo delle operazioni di salvataggio senza sosta alcuna, nonostante i rallentamenti e i non pochi ostacoli riscontrati durante le operazioni. Le condizioni di Alfredino Rampi iniziarono a peggiorare. Si arrivò così al 12 giugno. Erano passati quasi 2 giorni dall’accidentale caduta di Alfredino Rampi nel pozzo. Il piccolo non stava rispondendo più ai soccorritori. Giunta la sera, la perforazione dei tunnel risultava essere terminata, il cunicolo orizzontale, da poco finito di essere scavato, arrivava a 34 metri di profondità nel pozzo in cui si trovava il Rampi. Una sfortuna si aggiungeva ad un’altra continuamente. Si scoprì che il piccolo era ulteriormente scivolato ancora più giù rispetto a dove si trovava prima. Alfredino ora si trovava a 60 metri di profondità! Rimaneva solo una carta da giocare: calare qualcuno nella parte restante di pozzo.
La morte del piccolo Alfredino
Dopo i tentativi di diversi speleologi si fece avanti un volontario. Angelo Licheri, un signore magro e di bassa statura, che decise coraggiosamente di calarsi per 60 metri e tentare di recuperare Alfredino Rampi. Tentò per 3 volte di allacciare l’imbracatura per tirare fuori il bambino, ma per tutti e 3 i tentativi questa si aprì. La situazione non fece che peggiorare: il signor Licheri tentò di prendere Alfredino per le braccia e questo lo fece scivolare ancor più in profondità. I tentativi durarono 45 minuti, un lasso di tempo che era quasi il doppio dei 25 minuti in un primo momento, per questo tipo di operazione a testa in giù. Altri volontari vennero calati per l’impresa, ma inutilmente. L’ultimo, uno speleologo, raggiunse Alfredino il 13 giugno 1981, constatandone la morte. Il suo corpo venne recuperato l’11 luglio di quell’anno, un mese dopo la caduta.
L’attenzione mediatica
La tragedia di Vermicino, probabilmente, fu il più grande evento mediatico della cronaca nera italiana contemporanea. I tentativi di salvare Alfredino Rampi vennero ripresi da varie televisioni, trasmettendole a reti unificate in diretta tv non stop. Un vero e proprio reality show dell’orrore. Come riporta Sky TG24 (che ringraziamo per le preziose informazioni) oltre 21 milioni di di persone seguirono col fiato sospeso tutta la vicenda in tempo reale. Le difficoltà dei soccorsi, che non godevano di un vero organo fungente da coordinatore, accelerarono, tuttavia, la nascita della Protezione Civile, che all’epoca esisteva solamente su carta.
Le dichiarazioni di Angelo Licheri
In molti cercarono di salvare la vita di Alfredino Rampi e tra loro, come già espresso, c’era anche Angelo Licheri. L’uomo è stato intervistato lo scorso anno nella puntata de La vita in Diretta estate del 17 giugno 2019. Angelo riuscì a sfiorare il corpicino del bimbo senza, tuttavia, poter fare di più. Quando uscì dal pozzo, l’uomo era “dolorante e ferito” come affermato dal conduttore del programma Beppe Convertini. Quest’ultimo aveva chiesto ad Angelo se si sentisse un eroe od uno sconfitto. Questa la risposta del Licheri: “Eroe? No, questa parola, a dire la verità, non mi piace molto. Lo sarò pure per chi pensa questo, ma non piace a me sentirla questa parola, perché ricordo….“.
A questo punto, Angelo Licheri, persona di gran cuore, non era riuscito a trattenere il pianto, interrompendo il suo discorso per un attimo. Il signor Licheri aveva poi proseguito: “Non mi sono mai comportato in questo modo … Sinceramente questa parola, eroe, la cederei molto volentieri ad un’altra persona che veramente lo merita“. Beppe Convertini aveva, tuttavia, ribattuto: “Tu sei un eroe!“. Da quel terribile giorno sono passati 39 anni, ma nessuno ha mai dimenticato la tragedia di Vermicino. Ricordiamo come sul luogo in cui era avvenuto l’incidente giunse anche l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, uno dei più amati nella storia della nostra repubblica, per la sua umanità e simpatia.
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