La terza guerra mondiale può essere un’ipotesi concreta oppure remota, ma di certo l’Italia non ne sarebbe esclusa. Di conseguenza, gli analisti geopolitici valutano fino a che punto il mondo sia su un piano inclinato verso la catastrofe o possa invece evitarla.
Il rischio di terza guerra mondiale si alimenta di incomprensioni internazionali
Il conflitto scoppiato tra Russia e Ucraina il 24 febbraio 2022 ha scompaginato gli equilibri geopolitici, disorientato l’opinione pubblica internazionale e si tende a considerarlo una guerra egemonica personale del presidente russo Vladimir Putin.
In realtà, come ha osservato Dario Fabbri, analista geopolitico e direttore della rivista Domino, la realtà è più complessa. La Russia è tradizionalmente orientata a rapportarsi, pur tra alti e bassi della storia, con l’Europa occidentale e molto meno con il mondo asiatico.
Inoltre, come ricorda Fabbri, Putin non è nato per caso, ma è un prodotto della società e della politica russa, come russo è il conflitto concepito contro l’Ucraina per creare zone di sicurezza, specie tra Donbass e Crimea, di fronte all’espansione della Nato che Mosca considera alla stregua di un accerchiamento.
Per la verità, i russi speravano nel sostegno dei vertici militari ucraini e delle minoranze filorusse per entrare a Kiev senza dover sparare un colpo per una chiara sottovalutazione dell’intelligence moscovita.
La complessità dei rapporti Cina-Russia
L’avvicinamento tra Russia e Cina è ammantato da dichiarazioni di eterna amicizia. La collaborazione è effettiva a livello energetico, commerciale e tecnologico, ma si tratta di una scelta tattica tra due popoli che non si sono mai amati.
I russi temono una partnership in cui sia Pechino l’azionista di maggioranza, mentre i cinesi sono disturbati dal conflitto in corso che ostacola la penetrazione commerciale attraverso l’Europa orientale e l’aumento della loro sfera d’influenza attraverso le iniziative della via della seta. Tuttavia, non sostengono apertamente Putin sul piano militare e, per ammissione dello stesso presidente Biden, non risulta al momento che forniture belliche cinesi siano arrivate in Russia.
Le opposte interpretazioni della guerra russo-ucraina
Nato, Stati Uniti e Unione Europea interpretano questa guerra come pura aggressione putiniana, mentre il presidente russo la definisce “operazione militare speciale” con annesso uso della forza per contrastare il rischio della totale emarginazione del suo Paese e una guerra su più larga scala.
Sembra quindi difficile che due visioni così diverse possano conciliarsi, ma occorre valutare gli effetti della diplomazia sotterranea e dei contatti dietro le quinte che non si sono mai interrotti.
Del resto, la Federazione russa non riconosce come interlocutore diretto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ma dialoga sottotraccia con gli Stati Uniti che sono il vero deus ex machina delle decisioni Nato.
L’evoluzione del conflitto russo-ucraino
Di certo il presidente Biden incarna la linea liberal del partito democratico che è molto bellicosa verso la Russia e sta concedendo molti armamenti all’Ucraina (tank, missili e sistemi di difesa aerea), ma i magazzini si stanno prosciugando e il dispiegamento dei nuovi mezzi e l’addestramento delle truppe ucraine procede a rilento.
Il capo di stato maggiore americano Mark Alexander Milley ritiene molto improbabile che Kiev possa strappare ai russi le aree del Donbass e la Crimea e gli Stati Uniti non possono costringere le industrie americane a produrre almeno 90.000 proiettili di artiglieria al mese perché sono private e non dello Stato.
Di conseguenza, non si esclude una soluzione di tipo “coreano” in cui l’Ucraina accetti di cedere territori alla Russia in cambio di garanzie come l’ingresso nell’Unione europea o nella Nato.
Il motivo è semplice: gli americani considerano la Russia una potenza nucleare, ma regionale e quindi da ridimensionare solo per assicurarsi un vantaggio strategico, perché il vero concorrente con una spiccata vocazione imperiale è la Cina.
Pechino potrebbe infatti essere la vera causa scatenante di un conflitto mondiale entro il 2049, centenario della nascita della Repubblica Popolare, e momento in cui il Paese del Dragone spera di soppiantare in via definitiva l’egemonia statunitense a livello globale.
Indo-Pacifico, il terreno di possibile scontro tra super potenze
L’espansione cinese ha già messo in allarme Giappone, Corea e Vietnam e se Pechino persegue una politica di influenza economica e politica per via terrestre nei vari continenti non c’è dubbio che il Paese del Dragone punta anche al controllo delle rotte marittime a partire dall’immenso fronte Indo-Pacifico.
Per questo motivo, la Cina ha messo già in cantiere una terza portaerei, più avanzata tecnologicamente delle prime due, per contrastare gli Stati Uniti che ne hanno 11 e dispongono di un anello di basi militari in fase di rafforzamento che spaziano dal Giappone, alla Corea fino alle Filippine.
Taiwan è del resto terreno di contesa politica e potrebbe essere la scintilla di uno scontro diretto tra Usa e Cina in caso di attacco di Pechino che ritiene l’isola di sua esclusiva pertinenza.
Non si può inoltre ignorare che, per quanto la spesa militare cinese rapportata al Pil sia solo un terzo di quella statunitense, è altrettanto evidente che Pechino ha quintuplicato le spese militari negli ultimi 20 anni e insegue sogni egemonici di tipo imperiale.
Il rischio di guerra mondiale e il coinvolgimento dell’Italia
Come precisa Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, siamo su un piano inclinato perché il confronto tra Usa e Cina si gioca su vari teatri operativi a livello globale per mantenere o conquistare la supremazia.
Il rischio è che da conflitti locali eterodiretti dalle superpotenze nascano nuovi rischi di escalation e portino americani e cinesi a confrontarsi direttamente. In questo caso, l’Italia, membro Nato, sarebbe inevitabilmente coinvolta.
Il nostro paese ha un ruolo in numerose operazioni militari dal Libano all’Europa orientale, ha una posizione strategica nel Mediterraneo e potrebbe essere un bersaglio di ritorsioni molto gravi con attacchi missilistici distruttivi in caso di terza guerra mondiale.
Inoltre, l’Europa spesso non tocca palla nelle grandi decisioni internazionali perché non ha una politica estera e di difesa comune. Di conseguenza, il nostro Paese cerca ora di puntare su iniziative diplomatiche più autonome.
Le iniziative politiche dell’Italia
Roma guarda soprattutto alle nazioni affacciate sul Mediterraneo, ma anche a Paesi molto più lontani come l’India che non vedono di buon occhio l’espansionismo cinese e apprezzano la tecnologia italiana, ad esempio sul versante delle artiglierie navali.
Gli accordi economici, militari e di intelligence possono aiutare l’Italia a giocare d’anticipo per ritagliarsi un ruolo maggiore sulla scena internazionale e acquisire più autorevolezza del passato anche agli occhi dei partner europei.
Per quanto Germania e Francia siano interlocutori non facili con cui trattare perché seguono strategie economiche e politico-militari orientati più all’interesse nazionale che europeo, i dossier in comune con l’Italia sono numerosi a partire da quelli economici, energetici e di intelligence.
Di conseguenza, il nostro Paese può ritagliarsi uno spazio per trovare accordi tattici con Parigi e Berlino su questioni comuni, in un periodo di crescenti tensioni internazionali, nonostante questi partner giochino una loro personale partita da “battitori liberi”.
Di sicuro, sarebbe meglio indurre l’Europa a studiare strategie comuni di difesa, intelligence e diplomatiche che non garantiscono di evitare future guerre mondiali, ma faciliterebbero la creazione di un fronte unico del vecchio continente contro i rischi di escalation.
Non è certo che si riesca a realizzarlo e le premesse per adesso mancano, ma parlare con una voce sola è la via maestra per indurre anche le superpotenze a ripensare strategie troppo muscolari ed evitare una terza guerra mondiale che non avrebbe grandi vincitori, ma un esercito di sconfitti.