Davvero Donald Trump è il peggior Presidente?

Le accuse spesso infondate sull'attuale Presidente degli Stati Uniti, che forse nascondono una guerra sotterranea con la Cina e le multinazionali proprietarie dei media

Ieri, tutte le televisioni del mondo hanno dato l’annuncio che il prossimo Presidente degli Stati Uniti sarà Joe Biden. L’attuale inquilino della Casa Bianca – al 1600 della Pennsylvania Avenue, Washington D.C. – ha già dichiarato che “la campagna elettorale non è ancora finita”. Questa incertezza nasce da una serie di sospetti sulle schede elettorali conteggiate che, secondo Rudolph Giuliani e lo staff di Donald Trump, non sono tutte legali. L’elezione di Biden, quindi, sarebbe da confermare. Lunedì, un esercito di legali presenterà ricorso alle corti di alcuni Stati chiave che, in effetti e se le prove a sostegno di tale tesi fossero accettate, porterebbero ad un riconteggio dal risultato imprevedibile.

Le elezioni e i social media

Anche in Italia le elezioni americane sono state seguite con attenzione e passione, poiché Trump e Biden possono rappresentare i paladini di uno scontro tra conservatori e progressisti, che infiamma anche il nostro Paese. I “social”, immenso foglio di giornale sul quale chiunque può scrivere le proprie opinioni, non sono stati da meno nell’evidenziare gli umori di un popolo che ormai litiga su tutto, dal Governo all’ultimo dei bar, naturalmente fino alle 18.

- Advertisement -

Trump, un violento guerrafondaio?

Una delle accuse più insistite è quella di dipingere l’attuale Presidente come un violento guerrafondaio, legato mani e piedi alla potente lobby degli armamenti. In verità, Trump è il primo presidente degli ultimi 75 anni che non ha scatenato o partecipato a qualche guerra nel mondo per offrire occasione di guadagno ai mercanti di armi. Sarà interessante leggere la scheda che segue:

Harry Truman (1945-1953, Democratico) interviene nella Guerra in Corea.
Dwight D. Eisenhower (1953-1961, Repubblicano) eredita la Guerra di Corea e s’impegna nell’escalation della Guerra Fredda.
John Fitzgerlad Kennedy (1961-1963, Democratico) porta in pochi mesi i “consiglieri militari statunitensi” in Vietnam da qualche centinaio a 16.000 e inizia il conflitto. È anche il presidente della Baia dei Porci, con il tentativo, fallito, di invadere la Cuba di Fidel Castro.
Lyndon Johnson (1963-1969, Democratico) incrementa la Guerra del Vietnam e nel 1965 ordina anche l’invasione della Repubblica Domenicana per rovesciare il governo socialista di Juan Bosch Gavino.
Richard Nixon (1969-1974, Repubblicano) chiude la guerra in Vietnam dopo un’escalation di bombardamenti a tappeto sulle città e le campagne del Nord e, segretamente, in Cambogia e Laos. Nell’opinione pubblica mondiale è il responsabile di quel conflitto, anche se fu Kennedy a volerlo ed iniziarlo.
Gerald Ford (1974 -1977, Repubblicano): il successore di Nixon non combatte tecnicamente alcuna guerra, anche se chiede al Congresso il permesso di rientrare nel conflitto vietnamita per soccorrere il governo del Sud aggredito da colonne militari nord-vietnamite. Il Congresso non approva questa richiesta.
Jimmy Carter (1977-1981, Democratico): quando l’Unione Sovietica invade l’Afghanistan, rifornisce segretamente i mujaheddin afghani di armi, tecnologia e consiglieri strategici. Fallisce anche il blitz per liberare gli ostaggi dell’ambasciata americana a Teheran.
Ronald Reagan (1981-1989, Repubblicano), dopo aver chiuso la Guerra Fredda, decide l’invasione di Grenada nel 1983, decisa perché un regime filo marxista non si affiancasse a quello cubano in quell’area; ordina il bombardamento di Tripoli nel 1986 con l’obiettivo di colpire Gheddafi. George H. W. Bush (1989-1993, Repubblicano) combatte e vince la prima guerra del Golfo, dopo l’invasione da parte di Saddam Hussein del Kuwait. Ordina di invadere Panama con 24.000 soldati per abbattere il dittatore Manuel Noriega.
Bill Clinton (1993-2001, Democratico) invia e poi ritira le truppe americane dalla Somalia. Ordina raid aerei contro i serbi di Bosnia per costringerli a trattare e, dopo gli accordi di Dayton, dispiega una forza di pace nei Balcani. Nel 1998, in risposta agli attentati di Al Qaeda, fa bombardare obiettivi in Afghanistan e in Sudan. Un anno dopo, il teatro di guerra torna ad essere i Balcani: gli americani sono i protagonisti della Guerra del Kosovo e della caduta di Milosevic.
George W. Bush (2001-2009, Repubblicano) è il presidente delle guerre in Afghanistan e Iraq, come risposta all’attacco delle Torri Gemelle.
Barack Obama (2009-2017, Democratico) contrario all’invasione dell’Iraq, interviene militarmente però in Siria, Libia, Iraq e Afghanistan; bombarda anche lo Yemen, la Somalia e il Pakistan. Secondo alcuni analisti è stato il presidente americano che ha tenuto in guerra gli Stati Uniti per più tempo.

Trump, il Presidente che divide ed erge muri

Un’altra pecca di Trump è il protezionismo, l’essersi scagliato contro la globalizzazione. In America, come d’altronde anche in Italia, molte industrie hanno ridotto il loro personale perché non è più conveniente “fabbricare il prodotto in casa”. Il guadagno è maggiore se alcuni pezzi dei computer, delle automobili, di quello che volete sono prodotti principalmente in Cina e Corea del Sud e poi assemblati a Cupertino, a Detroit, ecc…

Anche da noi, la globalizzazione ha portato alcune aziende a questa scelta. Una parte, poi, ha preferito la delocalizzazione. Per difendere l’economia americana e tanti posti di lavoro, Trump ha imposto dei dazi maggiorati per i prodotti di provenienza estera, specialmente cinese, per colmare il gap delle aziende americane, che hanno costi per le maestranze molto più pesanti; questi costi, naturalmente, ricadono sul prezzo al consumatore. Ha minacciato anche una maggiorazione di tasse per coloro che facevano realizzare i loro prodotti in oriente. L’occupazione ha ripreso, tanti licenziati sono tornati al lavoro e la Borsa USA ha raggiunto livelli mai visti negli anni precedenti. Non a caso, i grandi sostenitori di Trump sono nel cuore dell’America, nelle contee votate all’agricoltura e alle grandi industrie manifatturiere.

- Advertisement -

Trump contro la salvaguardia del pianeta

Altro tema è l’ambiente: fin dai primi giorni del suo insediamento, Trump disse che i vari protocolli per la difesa del pianeta dall’inquinamento avevano il solo scopo di mortificare l’industria americana. Infatti, ritirò gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi e smantellò gran parte delle normative introdotte dal suo predecessore. Ma davvero questa mancanza di attenzione verso l’ambiente nasce dall’ignoranza e dalla superficialità di Donald Trump?

I Paesi che più inquinano l’ambiente sono la Cina, l’India e, naturalmente, gli Stati Uniti. Dei tre, quest’ultimo è quello che garantisce e attiva i maggiori controlli. Eppure, l’America di Trump è stata indicata come la colpevole dei cambiamenti climatici. In verità è l’India, che produce il maggior inquinamento atmosferico da anidride solforosa, la sostanza prodotta dalla combustione del carbone che causa piogge acide, nebbie e molti problemi di salute. Cina e India sono i principali consumatori mondiali di carbone, che in genere contiene fino al tre per cento di zolfo. La maggior parte delle emissioni di anidride solforosa dei due Paesi proviene da centrali elettriche alimentate a carbone. In particolare, Pechino soffre di gravi problemi di smog a causa delle numerose fabbriche di carbone e centrali elettriche che si trovano nei dintorni.

Entrambi hanno sottoscritto gli accordi di Parigi ma, secondo i parametri delle Nazioni Unite, Cina e India sono considerati Paesi in via di sviluppo e quindi non obbligati a contenere le emissioni. In buona sostanza, possono continuare a inquinare come ritengono – anche se la Cina ha avviato un programma di contenimento delle proprie emissioni – e l’unico che deve rispettare le regole è l’America. Il rilancio di Trump è stato: o ci impegniamo tutti allo stesso modo o ritiro gli Stati Uniti da questi accordi, che servono solo a mortificare la nostra produzione. L’America si è ritirata. Tutto ciò è sbagliato, ma davvero risulta anche incomprensibile?

Trump e la gestione della pandemia

In ultimo, la gestione del Covid 19. A questo proposito, interessante il punto di vista del Senatore Enrico Aimi, Capogruppo di Forza Italia in Commissione Affari Esteri: «Il dato certo e rilevante per la valutazione della pandemia da Sars Covid 19 sono i decessi in rapporto alla popolazione e non i contagi, sintomatici o asintomatici che siano. L’America di Trump ha deciso di non bloccare l’economia e di affrontare il virus con l’arma della prudenza, ma senza sconvolgere “the normal life”. Il tasso di mortalità da Covid negli Stati Uniti è del 1,37%; in Italia, è del 1,47%.Abbiamo più morti noi».

La nostra gestione, per qualcuno esempio da seguire, ha certamente sconvolto l’assetto economico, causando una crisi dalla quale forse usciremo fra anni, e con un tasso di mortalità superiore a quello della scellerata America di Trump. Vedremo cosa proporrà Biden, se la sua elezione sarà confermata.

Massimo Carpegna

Massimo Carpegna
Massimo Carpegnahttp://www.massimocarpegna.com
Docente di Formazione Corale, Composizione Corale e di Musica e Cinema presso il Conservatorio Vecchi Tonelli di Modena e Carpi. Scrittore, collabora con numerose testate con editoriali di cultura, società e politica.