Heather Pratten soffoca suo figlio per amore

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Il diritto alla morte spiegato da una storia, da una madre che ha aiutato suo figlio a morire perchè gravemente ammalato. La storia di Heather Pratten.

Heather Pratten è una mamma. Heather Pratten viene dall’Essex, in Inghilterra, oggi ha 76 anni e ha dedicato tutta la sua vita alla sua famiglia, specialmente ai suoi figli.

È il 1975 quando Heather rimane vedova, a soli 44 anni suo marito Ken muore causa di un attacco di cuore. La tragedia non è totalmente inaspettata, quando Ken muore lo fa in un letto di ospedale, dove viene ricoverato mesi prima perché non è più in grado di parlare o di camminare. Ken soffre della malattia di Huntington, una malattia che attacca il sistema nervoso e lo fa in modo progressivo fino a portare complicazioni quali la polmonite o, appunto, l’attacco cardiaco. Non esiste cura, solo una percentuale (bassa) di speranza di potersi salvare.

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Nel 1993 viene introdotto il test genetico di  Huntington, ma nessuno dei figli di Heather vuole farlo. Decidono di non sapere, di vivere al meglio la loro vita, di scoprire, se è il caso, della malattia solo vivendo. Quando il secondogenito, Philip, ha 34 anni gli viene diagnosticata la malattia. La reazione dell’uomo è di rassegnazione: Heather trova una struttura che si occupa di casi del genere e Philip acconsente di vivere lì, non essendo più in grado di prendersi cura di se stesso ed essendo ormai bisognoso di attenzioni e cure ventiquattro ore al giorno.

Nigel è il primogenito, più grande di Philip solo di 18 mesi. Nigel ama disegnare, ogni anno è lui che disegna la cartolina di Natale per la sua mamma, lo fa sin da bambino. Due anni dopo la diagnosi di Philip, però, arriva Natale e la cartolina di Nigel non è disegnata, ma comprata in un negozio.

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Heather capisce subito.

Heather, che negli ultimi mesi, aveva notato una certa riluttanza da parte di Nigel di incontrare la madre, di andare a trovarla, di farsi vedere, si rende subito conto: anche Nigel ha la malattia di Huntington.

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Heather cerca disperatamente di fare qualcosa per lui, ma Nigel, che vive in un’altra città, chiede alla madre di lasciarlo solo, non la vuole incontrare. Poi un giorno Heather riceve una telefonata: è Nigel. “Vado in Scozia”, dice, “Non cercarmi”.

Heather, nei giorni a seguire, continua a telefonare, senza risposta da parte del figlio. Finché un giorno il telefono smette di squillare a vuoto: “Aiutami”, è tutto quello che Nigel dice.

Una volta giunta nel suo appartamento, Heather trova il figlio ridotto ad uno scheletro. Si sta lasciando morire di fame. Inevitabile per la madre chiamare un’ambulanza. Ma non è questo l’aiuto che Nigel sta cercando e va su tutte le furie. La minaccia di non rivolgerle mai più la parola, se dovesse farlo un’altra volta.

Nigel viene comunque ricoverato, perché non ce la fa a camminare né a fare le semplici cose di tutti i giorni. Il giorno del suo compleanno, Heather ottiene di portarlo fuori, vorrebbe fare un giro all’aria aperta con suo figlio, farlo distrarre, ma Nigel chiede di essere portato a casa sua. “I miei amici mi hanno procurato quello che avevo chiesto”, informa così sua madre di essere in possesso di una dose letale di eroina e che le sue intenzioni sono quelle di iniettarla nel suo braccio. E morire.

Nigel non riesce a fare da solo l’iniezione, non ha più la capacità motoria per farlo. Così decide di berla. Heather è lì con lui, in qualche modo calma, in qualche modo rassegnata, in qualche modo complice.

Dopo avere bevuto l’eroina, Nigel e la mamma iniziano a parlare, distesi sul letto, a raccontarsi di quando tutto era diverso, a ricordare le corse fatte da bambino, le ginocchia sbucciate, le speranze e i sogni. La felicità. Così, si addormentano, uno accanto all’altro. Mano nella mano.

Quando Heather si sveglia, Nigel è pallido e respira appena, con fatica.

Heather non ce la fa più a vedere suo figlio stare così male e decide, in una frazione di secondo, di soffocarlo con un cuscino.

In Tribunale, Heather si dichiara colpevole. Ma non ha rimorsi, sa di avere fatto quello che suo figlio si aspettava da lei, quindi la cosa giusta, ma sa di essere colpevole di quello di cui viene accusata: ha ucciso suo figlio.

Non viene condannata, perché Nigel, avendo assunto l’eroina, sarebbe comunque morto nel giro di pochissimo.

Né la condannano le figlie, uniche rimaste in vita e sane, dopo che anche Philip muore, a 48 anni, dopo essere rimasto su una sedia a rotelle.

Heather diventa patrocinante di Dignity in Dying, una organizzazione senza scopi di lucro che si batte perché la legge sulla morte assistita cambi, perché alle persone venga riconosciuto il diritto alla morte oltre che quello alla vita.

Heather ha spiegato così quello che ha fatto: “Non credo che la vita a tutti i costi sia la cosa migliore”.

Ai posteri, l’ardua sentenza.