Prendo spunto da un editoriale pubblicato dal Senatore Andrea Cangini di Forza Italia, già direttore del Resto del Carlino QN, e pubblicato su un quotidiano nazionale, per alcune riflessioni. Ecco il suo passaggio: «Rimuovere i traumi nazionali, tacere la dimensione tragica della Storia, sostituire le “analisi veritiere” con rappresentazioni di comodo: sono questi i tre errori capitali che impediscono alla società Italiana di maturare e ad un Occidente tornato bambino di arrestare la propria, innegabile, decadenza».
Le menti non assuefatte al “pensiero unico” non hanno mai accettato acriticamente la narrazione del Ventennio fascista e della Resistenza, ma si sono volte a cercare altre fonti per elaborare un proprio pensiero, chiudere definitivamente i conti con il passato e volgere lo sguardo al futuro con una diversa e più matura saldezza nei valori condivisi. Questa divisione tra Guelfi e Ghibellini, non ha consentito il fortificarsi di quell’orgoglio d’appartenere ad una comunità, alla sua storia, alle conquiste di civiltà che ha maturato nei secoli, che non risuona con uguale forza in ognuno di noi. Le nostre radici affondano quindi in un terreno insicuro e mutevole e lo scontro che divide è sempre presente e impedisce di crescere come si potrebbe e dovrebbe.
Chi ha una simpatia per le posizioni di sinistra, bollerà questa ricerca della verità storica ove possibile come il solito desiderio di revisionismo, che tende a riabilitare e giustificare alcuni aspetti del fascismo. Eppure, molti sono gli esponenti politici, che non possono essere ascritti nelle file dei “nostalgici”, che preferiscono la verità, bella o brutta che sia, ad una narrazione epurata da ciò che non conferma l’ideologia d’appartenenza. E così, nella Sinistra si presentano due posizioni: quella di Walter Veltroni, che afferma «Il fascismo non è stato un semplice incidente della storia, un regime autoritario che governava contro il popolo. Il fascismo ha goduto di un ampio, diffuso, radicato consenso nel Paese. Rimuoverlo e cancellare l’analisi veritiera e onesta della sua natura, ha reso fragili le basi della nostra democrazia» e del nuovo Rettore dell’Università per gli Stranieri di Siena, Tomaso Montanari, che critica l’uso politico delle foibe e ne minimizza la drammaticità e le responsabilità dei partigiani comunisti italiani e titini . In fondo, si calcola che “solo” 5000 persone finirono nelle spaccature della montagna e istituire la “Giornata del Ricordo delle Foibe” in evidente opposizione a quella della “Memoria della Shoah” «rappresenta il più clamoroso successo di questa falsificazione storica» propagata dalla destra nostalgica.
Resta il fatto, che queste diverse verità non hanno consentito al popolo italiano di metabolizzare il trauma di una sconfitta, quella della Seconda Guerra Mondiale, e di una guerra civile con luci e ombre nella quale è palese, appunto per chi cerca la verità, l’azione non solo contro i nazisti e i fascisti, ma anche quella per assumere immediatamente il comando dell’Italia futura; questa azione fu interrotta per volontà degli Alleati, che non intendevano regalare all’influenza dell’URSS la posizione strategica dell’Italia, poiché i due blocchi si stavano già delineando, così come le sorti del mondo.
Emblema di questo pensare a chi avrebbe governato l’Italia a guerra finita, è nella fine di Mussolini, che segnava di fatto la fine del fascismo. Nel testo dell’Armistizio sottoscritto l’8 settembre con gli Alleati, il Duce e sodali dovevano essere consegnati alle forze alleate, che avrebbero istituito un processo a carattere internazionale contro di loro per valutare i crimini commessi. Sarebbe stata la Giustizia, con tutte le garanzie per gli incriminati, ad assolvere o condannare i gerarchi e il loro capo supremo. Gli Stati Uniti pensavano già al processo di Norimberga due anni prima che si concludesse il conflitto e, soprattutto, a ciò che avrebbe consentito alla Germania e all’Italia di aprire un nuovo capitolo della propria storia senza i fantasmi del passato.
Il Partito Comunista decise diversamente, freddando Mussolini con una sventagliata di mitra, trasportando il cadavere a Milano, a piazzale Loreto, per esporlo alla ferocia della gente e impiccandolo alle travi di un distributore di benzina. A tutti doveva essere chiaro chi aveva scritto eroicamente la parola fine sul fascismo e meritava di reggere le sorti della nuova nazione.
Anche gli Stati Uniti hanno nel tempo perso quell’ideale che nasce dalla loro storia d’essere la più grande democrazia, che si oppone all’oscurantismo delle dittature, qualunque sia il colore al quale appartengono, lotta per garantire la libertà. Certamente, dietro a questi obiettivi ideali si è sempre celato l’interesse economico e militare, ma l’anelito alla democrazia non è mai stata solo di facciata. L’America, che nacque a Pearl Harbor contro il nazifascismo, non esiste più, come non esiste più quell’unità d’ideali nella diversità che la distingueva da tutti. Gli Stati Uniti ci hanno copiato: anche loro, oggi, sono divisi in Guelfi e Ghibellini, Repubblicani e Democratici e questa loro divisione, come la nostra, non si ricompone più dietro la bandiera a stelle e strisce.
Ecco perché il suo ritiro dai vari punti caldi della Terra iniziata in Somalia, che non deve essere spiegata con sole ragioni di costi: «Non ha più la forza morale e la tenuta sociale per sopportare la morte di propri soldati in guerra», scrive il Senatore Cangini. Le bare avvolte nella bandiera non sono più quelle di eroi morti per una giusta e nobile causa, ma quelle di giovani vite recise per ragioni discutibili e, comunque, non all’altezza dell’estremo sacrificio richiesto.
Un esempio di questa nuova posizione è il disimpegno dall’Afghanistan, che prevedeva 16 mila contractors a sostituire i marines. I mercenari sono soldati di ventura, che mettono a disposizione le loro armi per chi li assolda, al di la dei principi morali e delle finalità. A difendere l’Afghanistan dalla furia talebana non dovevano più essere i soldati di una nazione, ma professionisti della guerra: le loro bare non tornano a casa avvolte in una bandiera e non fanno scendere l’indice di gradimento. Sono i rischi di un mestiere e possono essere accettate.
Il costo per la lotta alla pandemia, e la crisi economica derivata dai lockdown, ha obbligato l’Amministrazione Biden ad un risparmio e i contractors non sono partiti, consentendo ai talebani di vanificare in brevissimo tempo gli sforzi di vent’anni. L’Italia piange cinquantaquattro morti inutili e l’America molti di più: vite falciate anche in seguito agli ultimi attacchi terroristici.
Tutto ciò esprime la decadenza di una nazione, la nostra, e di un’intera civiltà, quella occidentale, perché quando la nascita di un Paese è incerta, dubbiosa a causa di una storia incompleta, quando la sua identità, come i suoi valori fondanti, non sono universalmente riconosciuti o si sono dissolti nel tempo, come nel caso dell’America, allora si spalanca la porta al caos che precede la fine, la trasformazione in altro sotto la spinta di chi ha radici più salde e obiettivi precisi.
Massimo Carpegna
L’America non è più un faro di libertà e democrazia
Il tramonto degli Stati Uniti e della civiltà occidentale