Sono ormai assai numerosi gli appelli, le petizioni e le dimostrazioni di indignazione dei consumatori, in particolare sul web, nei confronti dei produttori e delle aziende che utilizzano l’olio di palma, da quando è diventato obbligatorio indicarne esplicitamente l’uso sull’ etichetta. La polemica si staglia su due fronti principali: quello della salute e quello dell’impatto ambientale. Ѐ bene dunque analizzare separatamente i due aspetti.
L’impatto ambientale:
Greenpeace ha proprio recentemente denunciato i produttori dell’olio di palma, in quanto alimentano gli incendi del Borneo. Le aziende sono colpevoli di usare metodi di sfruttamento ambientale, come la deforestazione. Dopo aver utilizzato la breve fertilità del terreno (dovuta al fuoco), lo abbandonano in uno stato di sterilità. La principale preoccupazione delle industrie è infatti solo quella di avere un olio a basso costo ed utilizzabile in numerosi campi di applicazione. L’olio così prodotto, giunge anche nella merce di marchi internazionali che hanno adottato politiche di “no deforestazione”. Non sono dunque da sottovalutare i danni all’ambiente derivanti dalla coltivazione di questa pianta che sta influendo direttamente anche alla scomparsa di tantissime specie animali; apportando un danno enorme alla biodiversità tipica di queste aree e un contributo pesantissimo all’impennata di gas serra nell’atmosfera. La devastazione delle foreste pluviali provoca inoltre un grave danno alle popolazioni indigene che tuttora le abitano, alle quali vengono sottratti senza esitazione i territori che da sempre si impegnavano a proteggere.
Queste operazioni comportano gravi violazioni dei diritti umani. Inoltre, secondo un report del 2008, in Indonesia alcuni produttori avrebbero ottenuto dei terreni con la violenza, o grazie a promesse (poi non mantenute) di nuovi posti di lavoro e sviluppo del territorio. Sempre in Indonesia, alcune piantagioni sfruttano il lavoro di immigrati senza documenti, il che ha fatto nascere motivati sospetti di sfruttamento (si tratta di una pratica diffusa anche per altri tipi di coltivazioni). Per rafforzare regole e controlli, Il Wwf ha dato vita insieme ad altre associazioni a un nuovo gruppo di lavoro, il Poig (Palm oil innovation group), a cui hanno aderito aziende come Ferrero e Unilever. I consumatori per il momento possono cercare sulle confezioni il bollino con la palma che identifica l’uso di olio certificato.
Il motivo per cui questa pianta (coltivata soprattutto in Malesia e Indonesia) viene così ampliamente utilizzata è che rende moltissimo, per cui il raccolto su una certa superficie di terreno dà molto più olio rispetto ad esempio alla soia o al girasole che richiederebbero più spazio. Ѐ inoltre un grasso solido come il burro e quindi rende gli alimenti cremosi senza influenzare i sapori e permette anche di conservarli più a lungo. Un’alternativa potenzialmente valida all’utilizzo dell’ olio di palma è stata trovata dai ricercatori della University of Bath che avrebbero trovato con un ingrediente quasi identico ottenuto in laboratorio, ma presente anche in natura, senza distruggere le foreste. Gli scienziati sono infatti riusciti a coltivare in laboratorio un lievito oleoso chiamato Metschnikowia pulcherrima.
Questo lievito ha un profilo lipidico quasi identico all’olio di palma e potrebbe salvare le meravigliose regioni tropicali del Pianeta, inoltre si trova quasi ovunque, dal Vietnam al Sud Africa, fino all’Europa. Non richiede condizioni sterili per la coltivazione e si ciba di zuccheri. I ricercatori di Bath lo hanno coltivato in vasche aperte, all’esterno. Saranno necessari ulteriori studi per metterlo a punto, ma la speranza è che sia pronto per l’uso industriale entro i prossimi 3 o 4 anni.
L’impatto sulla salute dei consumatori:
Per quanto riguarda l’aspetto salute si sa, in base a ciò che dicono i nutrizionisti, che l’assunzione giornaliera di dosi elevate di questo ingrediente può risultare dannosa per la salute a causa della presenza dei grassi saturi. Questa ipotesi si verifica più spesso di quanto si creda, visto che il palma si trova nella maggior parte degli alimenti trasformati, soprattutto nelle merendine. Gli specialisti consigliano di limitarne l’assunzione, in particolare ai bambini che sono i più esposti. Nonostante dal punto di vista nutrizionale sia senz’altro meglio dei grassi idrogenati, prima molto usati nell’industria alimentare, non si può dunque affermare che non presenti nessun rischio per la salute. L’olio di palma non ha colesterolo ma proprio come il burro contiene una quantità di acidi grassi saturi molto elevata rispetto ad altri oli. I rischi per cuore e circolazione, quindi, sono presenti se si assumono grandi quantità, il che è facile accada.
Il pericolo è dunque, soprattutto, quello di incorrere in malattie cardiovascolari. Gli studi su altri possibili effetti negativi, poi, ci sono ma hanno portato a esiti controversi e, a oggi, l’unica indicazione certa è quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul controllo dei grassi saturi. È bene precisare che questi effetti sono quelli relativi a qualsiasi tipo di grasso saturo (anche quelli del ciambellone della nonna), e non sono quindi da considerare come specifici dell’olio di palma. Per evitare i danni occorre mantenere una dieta bilanciata, alternando l’assunzione di alimenti come formaggi, carne rossa e prodotti con olio di palma, in modo da evitare un sovraccarico.
Occorre poi fare particolare attenzione se il produttore annuncia di averlo eliminato, infatti ci sono oli, come quello di cocco, che contengono molti più grassi saturi. Parlando invece di una correlazione con l’insorgere di tumori, è bene sottolineare che non vi è alcuno studio in questa direzione che abbia evidenziato fattori di rischio specifici.