“Da stasera la frontiera è aperta“, così annunciava il leader del partito comunista berlinese, Gunter Schabowsky il 9 novembre 1989. E si dava il via allo storico smantellamento del Muro di Berlino, simbolo della Guerra Fredda.
28 anni, una barriera lunga 155 kilometri che divideva a metà tutta Berlino. Berlino est, controllata dall’Unione Sovietica, Berlino Ovest, occupata da americani, inglesi e francesi. Intere famiglie divise, generazioni cresciute nell’impossibilità di visitare posti e vedere luoghi che si trovavano a un solo palmo dai loro occhi, proprio dietro l’angolo. Proprio dietro quel mostro di acciaio e cemento che aveva decretato la fine di Berlino come città unica.
La costruzione era iniziata nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961. Prima costituito solo da pali e filo spinato, negli anni successivi il muro era stato ampliato. Blocchi prefabbricati, il muro presidiato da posti di blocco e controlli. In mezzo, una striscia di terra nota come “Lingua della morte” presidiata da tiratori scelti.
Oltre 200 persone hanno perso la vita tentando di valicare il muro. In cinquemila circa riuscirono a varcare il confine, utilizzando dei tunnel.
Il muro rivive attraverso le parole di Roberto Giardina, scrittore, giornalista e testimone di quegli anni: “Il muro era come una macchina del tempo. Si passava Checkpoint Charlie e si piombava nel passato, negli anni Cinquanta. Meno luci, niente insegne, anche l’aria aveva un altro odore, impestata dalle Trabant, le vetturette in plastica simbolo dell’industria nella Ddr”.