Iniziamo dalla trama del film di Ridley Scott
Alien: Covenant è un sequel del 2017 diretto da Ridley Scott. Tutto parte dalla Prometheus che è la navicella di tutta la lunga saga di Alien, dai primi film con Ellen Ripley. Al centro di questo film l’antagonista principale dell’uomo non è l’alieno ma un robot altamente evoluto tanto da poter porre ai suoi creatori domande sulla propria esistenza, capacità di agire e addirittura sentimenti interiori o emozioni.
Due generazioni di robot si scontrano, una specie dimenticata in un pianeta sperduto colonizzato da persone di un passato antico, distrutto da una specie prodotta in laboratorio, l’Alien.
La seconda evoluta generazione è la replica di questo primo robot spietato ma migliorato nel non commettere gli stessi errori, insomma evitare che diventi cattivo oppure inutile. Forse una sorta di giustificazione di insuccessi ma anche ipotetici incidenti nella realizzazione di intelligenze artificiali così evolute da sembrare umani, in fondo errare è umano anche nella scienza e tecnica più evoluta. Il risultato di questo film è una sintesi tra A.I. Intelligenza Artificiale e di Matrix che però vede solo il lato negativo delle sperimentazioni umane sulle macchine intelligenti.
I robot nella realtà, cosa sta producendo effettivamente l’uomo?
Il film di ieri sera si può collegare benissimo alle ultime notizie che riguardano le scoperte su robot e macchine altamente evolute, in grado di imparare tantissime cose dall’uomo e autoprogrammarsi sempre con dei limiti che però, come succede nei film, potrebbero proprio essere superati.
Tra tantissime notizie, la più importante è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports dal gruppo della Columbia University di New York guidato da Hod Lipson. Si è riusciti a realizzare nei robot attraverso un esperimento l’empatia, una capacità emotiva importantissima per uomini e anche animali che nelle macchine servirà ad accelerare e migliorare il processo di Machine Learning, apprendimento macchina.
Macchine empatiche? Sono più veloci ad imparare e lavorano meglio con l’uomo o altre macchine
Lo studio è interessante perché pure in un processo di apprendimento ed esecuzione logico creato dall’uomo tramite chips, algoritmi e informatica potrebbe esistere la Teoria della mente. Anche le macchine possono mettersi nei panni degli altri per anticiparne le azioni. E a spiegare perché è importante nell’intelligenza artificiale c’è l’esperto della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Antonio Frisoli.
‘La possibilità di prevedere azioni future sulla base dell’osservazione è una capacità in grado di migliorare significativamente la sintonia e il grado di interazione naturale di un robot con un umano, dal momento che la linguistica viene superata nell’esecuzione dei compiti, nei quali, è necessario un coordinamento o un accordo reciproco” (fonte Ansa).
Qualche esempio pratico di possibile applicazione? Ne azzardiamo qualcuno…
Pensiamo ad esempio agli smart-home che devono essere in grado di conoscere e prevedere alcune nostre scelte e abitudini per rendere la casa tecnologica perfetta nelle sue comodità.
Frisoli ha raccontato anche di presenza primitiva di empatia tra due robot, oggi abbiamo già delle piccole macchine intelligenti che tentano di relazionarsi riproducendo la comunicazione umana, sono gli assistenti vocali, di guida e anche gli smart home stessi. Inoltre, siamo nell’era dell’integrazione digitale tra elettrodomestici, smartphone, computer e anche automobili.
Tutto bellissimo ma bisogna pensare anche alla sicurezza e a dei limiti umani da imporre più per coscienza e etica che per motivi pratici. Frisoli infatti si chiede anche “fino a che punto un robot deve essere in grado di prendere decisioni autonome sulla base di una sua predizione? Può inoltre un robot, nell’anticipare il pensiero dell’uomo, manipolare l’uomo stesso e non essere più il mero esecutore di compiti?“