Non parlerò delle 10 ore di sfilata, non parlerò dei politici presenti, non parlerò dei due alpini deceduti durante l’evento. Parlerò dell’Aquila, dei 300mila giunti in città da tutt’Italia e dai cinque continenti in cui sono presenti le sezioni Ana, Associazione Nazionale Alpini. Parlerò di due guide speciali che mi hanno accompagnata in una città in parte fantasma ed in parte fenice.
Non visitavo la città dell’Aquila da molti anni, i miei ricordi erano sbiaditi: la basilica di Santa Maria di Collemaggio e la Perdonanza, la chiesa “delle Anime Sante” e il mercato, i portici; ricordavo anche il castello, la basilica di San Bernardino e il teatro, i negozi e le gioiellerie.
Mentre l’autobus si avvicinava al capoluogo d’Abruzzo le bandiere e gli striscioni dedicati agli alpini si facevano sempre più numerosi.
Quando ho preso la navetta, sabato mattina, l’autista era euforico nel vedere così tante persone arrivare nella sua città ma nello stesso tempo era preoccupato che L’Aquila, «un cantiere a cielo aperto», non potesse essere all’altezza di un evento come l’88a Adunata Nazionale Alpini. Quell’uomo dal grande sorriso e dagli occhi tristi mi ha parlato dei famosi Map, Moduli abitativi provvisori, del progetto Case e mi ha detto, indicandomi dei palazzi tutti uguali che sembravano usciti dal film “The Truman Show”: «ecco L’Aquila, ti piace?!».
Non ho visitato subito il centro storico. Sono stata nella sede dell’Ana – sezione Abruzzi dove era stata allestita una mostra gratuita di piante carnivore e bonsai dall’AIPC, Associazione Italiana Piante Carnivore e dall’Associazione Bonsai AQ. I volontari delle due associazioni erano a disposizione dei visitatori per accompagnarli in un vero e proprio viaggio botanico in universi tanto affascinanti quanto poco conosciuti.
Dalle finestre dell’edificio che ospitava la mostra si vedevano arrivare autobus pieni di penne nere, si vedevano famiglie e gruppi di ragazzi salire sulle navette.
Ho avuto la fortuna, sabato sera, di visitare il centro storico in compagnia di una coppia di aquilani, lui dell’Ana, lei dottoressa in Beni culturali.
La straordinaria storia dei monumenti e della città che mi veniva raccontata con grande orgoglio e senso di appartenenza si scontrava con i palazzi storici, le chiese e le case che travi di legno e ferro imprigionavano; si scontrava anche con le immagini delle recinzioni da cantiere rotte dagli sciacalli e dei calcinacci coperti da giovani arbusti.
La mia guida mi parlava della gioia di sentire nuovamente il «rumore della gente» in un centro storico dove tutti sono abituati ad un assordante silenzio rotto solo dalle voci e dagli attrezzi degli operai impegnati nei cantieri aperti.
A Piazza del Duomo sono stata travolta per la prima volta dall’allegria degli alpini che gli aquilani hanno accolto con profondo affetto perché «sono stati i primi ad arrivare e gli ultimi ad andar via». Tutti ballavano, suonavano, cantavano, invitavano i passanti a sedersi accanto a loro.
Ma c’era anche chi, in un angolo, alzava gli occhi al cielo e fotografava i vetri rotti delle finestre che lasciavano intravedere soffitti crollati, armadi ancora in piedi con le ante aperte, travi di sostegno che avevano ceduto.
C’era anche chi, come punto di riferimento per incontrarsi con gli amici, non indicava un monumento o una via ma «la gru rossa». Poi c’ero io che ascoltavo la mia guida: «questo è il teatro». E poi subito si correggeva: «era il teatro». Poi c’ero io che non potevo distogliere lo sguardo da innumerevoli bandierine che erano state ancorate ovunque per salutare gli alpini: erano nei pochi locali presenti, nei gazebo allestiti per l’Adunata ma anche sulle recinzioni dei numerosissimi palazzi che ancora aspettano di essere ricostruiti.
Il mio viaggio è terminato prima della fine della grande sfilata delle penne nere che sono riuscite a far rivivere il centro storico dell’Aquila dopo troppi anni si silenzio.
«Gli alpini ricostruiscono ciò che il terremoto distrugge»: questa la scritta stampata su uno degli striscioni che hanno aperto la sfilata.