Vajont è il nome del torrente che scorre in provincia di Belluno (Veneto) ma è anche il nome di un disastro che non si può dimenticare. Oggi come 56 anni fa precisamente la sera del 9 ottobre 1963 la diga che conteneva il lago artificiale crollò provocando 1910 vittime.
Cronaca di un evento tragico
La mattina dell’8 ottobre si cominciarono a percepire i primi segnali della strage. Gli strumenti di rilevazione installati dai tecnici della diga mostravano che il monte Toc si era mosso nella notte dai 57 ai 63 centimetri. Si decise di svasare il più velocemente possibile l’invaso artificiale: il livello doveva scendere sotto quota 700 (il “limite di sicurezza”) prima che la montagna vi crollasse dentro. Perché su una cosa non c’erano più dubbi: il Toc stava venendo giù.
La frana aveva dimensioni gigantesche. Si staccò alle ore 22:39 dalle pendici settentrionali del monte, precipitando nel bacino sottostante. Una massa di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti precipitò a valle seguita da un enorme boato. Tutta la costa del monte, larga quasi tre chilometri, costituita da boschi, campi coltivati ed abitazioni, affondò verso il basso, provocando una gran scossa di terremoto.
Il lago sparì e al suo posto comparve una massa d’acqua dinamica alta più di 100 metri, contenente massi dal peso di diverse tonnellate. La forza d’urto della massa franata creò due ondate. La prima, a monte, fu spinta ad est verso il centro della vallata del Vajont che in quel punto si allarga; questo consentì all’onda di abbassare il suo livello e di risparmiare, per pochi metri, l’abitato di Erto. Purtroppo spazzò via le frazioni più basse lungo le rive del lago, quali Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino. La seconda ondata si riversò verso valle superando lo sbarramento artificiale, innalzandosi sopra di esso fino ad investire, ma senza grosse conseguenze, le case più basse del paese di Casso.
Interi paesi spazzati via
La popolazione percepì rumori e sensazioni terribili, le persone si resero conto di ciò che stava per accadere, ma non poterono più scappare. Il greto del Piave fu raschiato dall’onda che si abbatté con inaudita violenza su Longarone. Case, chiese, porticati, alberghi, osterie, monumenti, statue, piazze e strade furono sommerse dall’acqua, che le sradicò fino alle fondamenta. Della stazione ferroviaria non rimasero che lunghi tratti di binari piegati come fuscelli. Quando l’onda perse il suo slancio andandosi ad infrangere contro la montagna, iniziò un lento riflusso verso valle: un’azione non meno distruttiva. Altre frazioni furono distrutte, totalmente o parzialmente: Rivalta, Pirago, Faè e Villanova nel comune di Longarone, Codissago nel comune di Castellavazzo. Il Piave, diventato un’enorme massa d’acqua silenziosa, tornò al suo flusso normale solo dopo una decina di ore.
Alle prime luci dell’alba i pochi sopravvissuti si reserò conto della terribile tragedia classificata come tra le più grandi che l’umanità potrà mai ricordare.
Tre errori umani che portarono alla tragedia
Sono stati commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l’aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico, l’aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza e il non aver dato l’allarme la sera del 9 Ottobre per attivare l’evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio di inondazione. Ma non tutte le colpe sono da scrivere all’uomo,infatti, anche la Natura ci ha messo lo “zampino” per così dire.
Bisogna ricordare che nel 1963 i mesi da agosto fino all’inizio di ottobre furono caratterizzati da piogge frequenti ed intense che hanno contribuito sicuramente all’accelerazione del movimento di frana che era noto da tempo.
Alla fine fu aperta un’inchiesta giudiziaria. Il processo venne celebrato nelle sue tre fasi dal 25 novembre 1968 al 25 marzo 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la prevedibilità di inondazione e di frana e per gli omicidi colposi plurimi. Longarone altri paesi sono stati ricostruiti ma la tragedia del Vajont ancora oggi continua a far parlare sopratutto alla coscienza dell’uomo.