Henri Cartier Bresson: “Immagini e Parole”a Vigevano

“Immagini e parole”: non ci sono altri termini per esprimere il contenuto di questa mostra del grande fotografo Henri Cartier Bresson, aperta in un’ala delle Scuderie del Castello Sforzesco di Vigevano, fino al 5 luglio 2015.

La vita

Nato nel 1908, incominciò ad apprezzare l’arte grazie a uno zio artista. Negli anni Trenta passò dalla pittura alla fotografia e partì: Francia del Sud, Spagna, Italia, Messico (e molto altro) con “La Leica” , maneggevole, e la pellicola 24 x 36, legando la fotografia al cinema, “perché pensava così l’artista si libera dalle costrizioni del tempo“.Viaggiando si staccò anche dal conformismo dell’ambiente borghese di provenienza. Inaugurò così la sua prima mostra nel 1932 e realizzò il suo primo grande reportage in Spagna, per finire poi negli Stati Uniti, dove si mise a collaborare con Paul Strand nel Cinema. Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, Cartier fu catturato e chiuso in un campo di prigionia in Germania, da cui riuscì a evadere nel ’43, tornando a Parigi ed entrando nella Resistenza. Con la fine della guerra, decise la sua svolta definitiva per il Cinema, mediante cui realizzò il suo reportage “Le Retour“(“Il Ritorno”).

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La mostra

Quarantaquattro sono le fotografie  esposte, commentate da personalità della Cultura, che rappresentano l’affettuoso progetto di alcuni suoi amici, per festeggiarne il compleanno. E’ una selezione di capolavori veri e propri, occhiate sempre più profonde sugli “attimi decisivi”, avvenimenti piccoli e grandi del mondo, per mettere come lui stesso diceva “sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l’occhio“. Alcune sue immagini sono ormai diffuse in tutto il mondo.

Una delle sue opere raffigura l’ombra di un uomo che corre su uno specchio d’acqua,”Dietro La Gare Sainte Lazare , Parigi,1932“, “con baldanza il suo tacco non sfiora l’acqua“, scrive Alechinsky. Sullo sfondo, quasi come dune di sabbia nel  deserto, appaiono i tetti scoloriti e una torre con orologio. Sembra un mondo che ha perso il suo fine ultimo, la sua consistenza, un mondo che non sa più cosa deve essere, quasi come ai giorni nostri: gli uomini sono ombre senza volto, senza un’identità….” Henri che ritrae Matisse, Vence, 1944″: lei sorride, avvolta in una soffice pelliccia bianca, il fisico pieno dalle linee morbide…E’ dolce e pare dirgli: “ti voglio bene” sullo sfondo di un arazzo orientale.Lui si vede solo di schiena. “La foto di Henri è viva e il mio disegno una natura morta“, commenta Saul Steinberg.

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Un istante fissato…E’ un momento della vita e questa scelta non è certo un caso. La scelta…” lo caratterizza, come esprime Konchalasky davanti al corpo sdraiato di un uomo su un prato, chiuso da uno steccato in “Trieste, 1933”. “Appunto la contemplazione di questi istanti… vi aiuterà a penetrare nel più profondo dell’uomo…” Volti di bambini davanti a un muro bianco dove le finestre sembrano buchi: i bambini giocano, ridono, parlano, mentre un grosso uomo passa col suo cappello a bombetta, corrucciato, e di un altro si vede solo la schiena: manca ancora il volto dell’uomo, che si è perso, ma non i bambini … in “Madrid,1933“.  A “Siviglia”, ancora in Spagna nello stesso anno, riprende altri bambini attraverso un muro squarciato che si rincorrono e ridono,  forse fanno un gioco crudele: giocano alla guerra, ma è una guerra che ancora non c’è stata, mentre, invece, sembra un’immagine postuma. Leonardo Sciascia la associa ad un quadro di Salvador Dalì,”Premonizione alla guerra civile”, ma quando fu fatto quel dipinto la guerra era almeno in corso…

Per un bambino davanti a un muro sporco di nero “avanzare vuol dire immolarsi“…Non ci sono altre parole che quelle di Milan Kundera per descriverlo”…la testa piegata all’indietro, la bocca socchiusa…, il corpo offerto senza la minima difesa…Un muro macchiato di nero lo guida…Eppure – aggiunge-,  è aggraziato tutto vestito di bianco, egli avanza verso il futuro…”anche se sa che sarà per lui un tormento…”Messico,1954“: Una bimba, di cui si scorge appena un po’la testa e gli occhi, trasporta un grande quadro: il ritratto di una donna un po’ austera ed elegante:” …anche se il quadro pende lei sta dritta…”E’ “la nonna che lei non ha mai conosciuto. Sa solo che “era severa-ma-… E’lei che ha dovuto portarla…è pesante…Lei che non ha conosciuto che suo nonno…E adesso, dove sono…? -i nonni-Se mettono il quadro vicino al mio letto non riuscirò a dormire…Amo quelli che portano le immagini dei volti. A partire da Veronica, che mostrava il viso di Gesù…”(Aquè Varda).E’ tutto quel che si sa, ma è già abbastanza…Una madre porta in braccio il suo bambino protetto da un velo: “E’ fine, ben pettinata, eppure i suoi occhi trasmettono sofferenza.”Questa donna non rinuncia alla propria fiera individualità…”(Scianna).  Poi ci sono anche i papà, che nel 1933 era molto più raro di adesso vedere con in braccio un figlio, ma forse non in Messico, come rivela questo scatto, in cui un uomo dal volto bruno, giovane e scavato, i grandi occhi scuri fissi, tiene in braccio immobile, quasi senza forze, la sua piccola bimba…

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Dal Messico passiamo all’India: davanti a un paesaggio di natura, verdi pianure e montagne, donne riprese di spalle, sono avvolte in lunghe vesti. Una tiene le mani un pò alzate, come in un gesto di offerta, che ricorda Maria, la Madonna…, in India….Ad “Ahmedabad… 1965“,ancora in India, bellissima è l’immagine di queste donne  che in un deserto stendono tappeti e teli al sole…Sembra una danza…

Ombre di bimbi nudi giocano sulla sabbia ad “Arsila, Marocco Spagnolo, 1933″ mentre gli alberi si riflettono nelle acque a “L’Isle sur Surge, Francia(sett.’88)”. Da qui il passo è breve per arrivare a “Parigi,1933“, dove la folla si stringe attorno al Card. Pacelli a Montmartre. I tempi purtroppo non erano buoni per alcuni paesi europei che ormai si erano già diretti verso dittatura e fascismo, a partire dal nostro: così ad “Arena di Valencia,Spagna,1933” ci si imbatte in una foto sconcertante, che rivela l’uomo, sfumato, indistinto, come se stesse perdendo la propria identità, a fianco di un volto duro, coi baffi neri, evocatore e premonitore delle tragedia, sempre più incombente…

Eppure l’immagine dell’Isle de Citè a Parigi, circondata dalla Senna, di fronte a Le Pont Royal, del 1952, offre una vista sconfinata, dove l’orizzonte del fiume si perde e si confonde quasi col cielo, circondando la città e…,si potrebbe dire, il mondo, in un abbraccio senza fine.

Adesso si può respirare davvero a pieni polmoni: finalmente liberi…

Grazia Paganuzzi