Signore e signori buongiorno e buonasera. Questo “modo di annunciare le cose televisive” non è “più”, se non a tutte le ore, ovunque, ventiquattro su ventiquattro, minuto più o minuto meno. Il “media” più invasivo del globo è una perfetta immagine di un tempo moderno, molto vecchio ( non antico ma proprio vecchio) da una parte, e pieno zeppo di nuovissimi ” format, target, reality, intrattenimenti assortiti, e quant’altro dall’altra. Tutti questi in una girandola continua di spostamenti d’orari a tappeto. Senza tregua, e sempre più uniformemente uguali nelle loro forme apparentemente diverse.
La stessa notizia, lo stesso avvenimento, l’evento sociale che è avvenuto nel solo modo possibile; cioè nel suo, viene descritto, manipolato, decantato e servito, con i canoni pubblicitari di uno spettacolo che non solo deve per forza continuare, ma cercando di occupare “i tempi” della nostra vita. Non importa come, basta trovare l’audience e l’attenzione di un maggior pubblico possibile. Il tutto in questa nuova “CULTURA” dell’avvenimento che si deve consumare nel giro delle quaranta- cinquanta ore prossime future, dopo di che, “il mostro” mediatico abbisogna di nuovo sangue virtuale in salse pseudo-reali, per macinare sensazioni – o sensazionalismo – in una girandola sempre più veloce, rapida ed efficiente possibile.
Questa macchina che racchiude in sé l’immagine del nostro tempo, pare un freddo strumento di ” distruzione” di massa, il più letale, che invece di portare ai popoli televisivi il benessere che rappresenta, distrae con un esasperato superficialismo nozionistico ogni evento e ogni dovuto approfondimento a seguire, con anarchie relative (tutti hanno ragione e tutti torto), ma soprattutto ogni risoluzione efficace e concreta del reale, di un reale impazzito. Arrivati a questo punto sfugge perciò il senso appunto della realtà e del reale. Non serve sapere le cose né capirle sul serio, quanto esporle con una confezione e un vestito piacente ” o piacioso ” o comunque” impiacentito ” in situazioni che c’entrano poco con uno sviluppo di una qualità esistenziale della vita, e che in sostanza vanno a finire nelle fagocitazioni curiose del nostro “superfluo”, divenuto – per abitudine appunto – televisivamente morboso.