Lockheed F 35: salati i costi di gestione

Non solo i costi d’acquisizione sono esuberanti, ma quelli di gestione rischiano di rivelarsi insostenibili per un’economia come la nostra.

Presentato come il meglio del meglio della tecnologia aeronautica, in fase di avanzata realizzazione,  le prime consegne già a partire dal 2015, il jet della Lockheed che l’Italia intende acquistare in 90 esemplari, (compresa una variante per la marina da imbarcare sulla portaerei), tecnicamente un cacciabombardiere F-35, rischia di mettere in serie difficoltà le strapazzate casse del nostro Paese.

Allo sviluppo il nostro Paese partecipa con una quota del  4% con un costo stimato di 1,2 miliardi di euro. Per la sola linea di produzione di Cameri si sono già spesi 680 milioni di euro, contraente italiana è la società Alenia-Aermacchi (gruppo Finmeccanica), partner di Lockheed Martin. E’ ancora possibile uscirne, visto che non si è ancora firmato il contratto, ma solamente un memorandum. Il costo complessivo del programma per l’Italia, spalmato su una ventina di esercizi finanziari, si aggira sui 13 miliardi di euro circa, escluso manutenzione e gestione.

Otto i Paesi partecipanti al programma con gli Usa come capo commessa: Gran Bretagna, Canada, Turchia, Olanda, Danimarca, Norvegia, Australia e Italia, ma in Canada – dopo la denuncia del prestigioso Time, che scrisse “..un’analisi indipendente ha calcolato in 46 miliardi di dollari il loro costo di vita, quasi il doppio delle stime iniziali ”- l’opinione pubblica reagì, e come contromisura il governo decise di valutare eventuali altre proposte alternative all’acquisto previsto (65 esemplari). A seguire anche la Turchia (100) si è espressa per una sospensione o un rinvio. In dubbio anche la commessa di Danimarca (30 velivoli),  Norvegia e Olanda sembrano mettere in dubbio la prosecuzione nel programma e l’Australia che ha ripiegato sui meno costosi Super Hornet.

Le autorità militari lo reputano insostituibile, cose se fosse l’unico disponibile, o se la ricerca tecnologica europea non fosse all’altezza di simili realizzazioni. Lo ha dimostrato prima con il Tornado, eccellente cacciabombardiere che non ha mai deluso né piloti né aviazioni, poi lo stesso consorzio di industrie ha replicato con l’altro prodotto di punta dell’Europa, che adesso rappresenta la prima vittima illustre dell’F 35, l’Eurofighter Typhoon. Ritenuto “il più avanzato aereo da combattimento mai sviluppato in Europa”, la sua fine, prematura, per un velivolo di quelle prestazioni su cui tanto si era investito, nonostante abbia ancora oggi ampi margini di potenziamento, è un dilemma. La tranche migliorativa 3B di 25 nuovi Eurofighter è stata infatti cancellata e nel 2016 le linee di produzione dell’Alenia di Torino Caselle, saranno chiuse, con grande rammarico dei tecnici ed ingegneri impiegati nel progetto.

Denuncia Francesco Vignarca, coordinatore nazionale rete italiana per il disarmo: “Sulla base della documentazione ufficiale del Pentagono, con i dati di costo aggiornati, per acquistare i 90 caccia previsti dovremo spendere 10,8 miliardi di euro, 4,3 solo per quelli a decollo corto e atterraggio verticale. Se consideriamo i costi di sviluppo arriviamo a 14 miliardi di euro”. Insomma con un costo medio per aereo di 120 milioni di euro, allo stato attuale, senza tener conto di successivi prevedibili aumenti.  “ Un calcolo approssimato calcola in quasi 52 miliardi ­di dollari – conclude Vignarca – il costo complessivo del programma”.

Un programma troppo ingente per fermarlo, una volta avviato. Un programma di queste dimensioni, se fallisce rischia di travolgere o mettere in ginocchio l’intera galassia di aziende produttrici, oltre chiaramente ai vari miliardi di dollari dello sviluppo mandati in fumo.Non solo i costi d’acquisizione sono esuberanti, ma quelli di gestione rischiano di rivelarsi insostenibili per un’economia come la nostra.

Presentato come il meglio del meglio della tecnologia aeronautica, in fase di avanzata realizzazione,  le prime consegne già a partire dal 2015, il jet della Lockheed che l’Italia intende acquistare in 90 esemplari, (compresa una variante per la marina da imbarcare sulla portaerei), tecnicamente un cacciabombardiere F-35, rischia di mettere in serie difficoltà le strapazzate casse del nostro Paese.

Allo sviluppo il nostro Paese partecipa con una quota del  4% con un costo stimato di 1,2 miliardi di euro. Per la sola linea di produzione di Cameri si sono già spesi 680 milioni di euro, contraente italiana è la società Alenia-Aermacchi (gruppo Finmeccanica), partner di Lockheed Martin. E’ ancora possibile uscirne, visto che non si è ancora firmato il contratto, ma solamente un memorandum. Il costo complessivo del programma per l’Italia, spalmato su una ventina di esercizi finanziari, si aggira sui 13 miliardi di euro circa, escluso manutenzione e gestione.

Otto i Paesi partecipanti al programma con gli Usa come capo commessa: Gran Bretagna, Canada, Turchia, Olanda, Danimarca, Norvegia, Australia e Italia, ma in Canada – dopo la denuncia del prestigioso Time, che scrisse “..un’analisi indipendente ha calcolato in 46 miliardi di dollari il loro costo di vita, quasi il doppio delle stime iniziali ”- l’opinione pubblica reagì, e come contromisura il governo decise di valutare eventuali altre proposte alternative all’acquisto previsto (65 esemplari). A seguire anche la Turchia (100) si è espressa per una sospensione o un rinvio. In dubbio anche la commessa di Danimarca (30 velivoli),  Norvegia e Olanda sembrano mettere in dubbio la prosecuzione nel programma e l’Australia che ha ripiegato sui meno costosi Super Hornet.

Le autorità militari lo reputano insostituibile, cose se fosse l’unico disponibile, o se la ricerca tecnologica europea non fosse all’altezza di simili realizzazioni. Lo ha dimostrato prima con il Tornado, eccellente cacciabombardiere che non ha mai deluso né piloti né aviazioni, poi lo stesso consorzio di industrie ha replicato con l’altro prodotto di punta dell’Europa, che adesso rappresenta la prima vittima illustre dell’F 35, l’Eurofighter Typhoon. Ritenuto “il più avanzato aereo da combattimento mai sviluppato in Europa”, la sua fine, prematura, per un velivolo di quelle prestazioni su cui tanto si era investito, nonostante abbia ancora oggi ampi margini di potenziamento, è un dilemma. La tranche migliorativa 3B di 25 nuovi Eurofighter è stata infatti cancellata e nel 2016 le linee di produzione dell’Alenia di Torino Caselle, saranno chiuse, con grande rammarico dei tecnici ed ingegneri impiegati nel progetto.

Denuncia Francesco Vignarca, coordinatore nazionale rete italiana per il disarmo: “Sulla base della documentazione ufficiale del Pentagono, con i dati di costo aggiornati, per acquistare i 90 caccia previsti dovremo spendere 10,8 miliardi di euro, 4,3 solo per quelli a decollo corto e atterraggio verticale. Se consideriamo i costi di sviluppo arriviamo a 14 miliardi di euro”. Insomma con un costo medio per aereo di 120 milioni di euro, allo stato attuale, senza tener conto di successivi prevedibili aumenti.  “ Un calcolo approssimato calcola in quasi 52 miliardi ­di dollari – conclude Vignarca – il costo complessivo del programma”.

Un programma troppo ingente per fermarlo, una volta avviato. Un programma di queste dimensioni, se fallisce rischia di travolgere o mettere in ginocchio l’intera galassia di aziende produttrici, oltre chiaramente ai vari miliardi di dollari dello sviluppo mandati in fumo.

Ma come si arriva ai 52 miliardi di costo totale del programma?

Per quanto non sia dato sapere ancora pubblicamente se non in modo generico, il costo medio per ora di volo del cacciabombardiere – chi lo conosce lo ha giudicato “impressionante “ – è sicuramente molto al di sopra dei 7 mila $ per ora di volo dell’F- 16 (in leasing con l’Aeronautica per alcuni anni) dei 19 mila dell’F-18 imbarcato sulle portaerei dell’US Navy e dei 44 mila $, sempre per ora di volo, del pregiato F- 15 Eagle dell’USAF.

Quindi il valore ci sembra del tutto plausibile con il dato dichiarato dal Vignarca.

Cifre abnormi che le casse dello stato e l’attuale situazione congiunturale economica del Paese difficilmente riuscirnno a digerire, e che attualmente in un paese con una disoccupazione giovanile intorno al 46,5 % non rappresenta certo una priorità.