In queste ore una notizia ha lasciato sgomenti i famigliari ed i fan di Michele Merlo, il cantante 28enne scomparso lo scorso giugno a causa di una leucemia fulminante: nessuna responsabilità da parte del pronto soccorso.
Erano stati gli stessi genitori di Michele ad avanzare dubbi circa il rispetto dei protocolli medici; Michele, come hanno più volte ribadito i genitori, stava male da giorni e veniva rimbalzato da un medico all’altro senza che nessuno desse mai peso davvero alla reale gravità delle sue condizioni.
Da circa un mese Michele aveva dei lividi sul corpo e febbre, aveva riferito la cosa al suo medico di famiglia che però gli aveva dato del semplice antibiotico.
Quando poi Michele è andato in pronto soccorso aveva già un mal di testa lancinante e la febbre alta, ma anche lì è stato rimandato a casa. In un messaggio vocale alla fidanzata lamentava il fatto di esser stato rimproverato di “intasare inutilmente il pronto soccorso“, così Michele andò via.
Insomma, ciò che non ci si riesce a spiegare è come mai dinanzi a un paziente con lividi sul corpo e febbre alta nessun medico abbia pensato a una grave, reale e concreta sofferenza ematica.
“Il 26 maggio Michele stava già male — racconta il padre- e si presentò al Pronto soccorso di Cittadella con dolori e uno strano ematoma alla gamba. Ma tre ore dopo il triage, era ancora in attesa. Così, scocciato, andò via“.
Michele poteva essere salvato? Secondo la Procura anche quando i medici avessero riscontrato la leucemia sarebbe stato impossibile salvarlo a causa della gravità della forma che lo aveva colpito.
Ma secondo il parere dei periti di parte le cose non stanno così: la leucemia fulminante se scoperta e curata in tempo, nell’oltre il 78%-87% dei casi ha esito positivo. Michele poteva salvarsi.
Papà Domenico è distrutto dal dolore: “Sono deluso, comincio a perdere fiducia nella giustizia. Spero che i pm di Bologna indaghino comunque sul comportamento di due medici: quello di Vergato che non volle visitarlo e quello del 118 intervenuto a casa della fidanzata di Michele. Ero al telefono con lei, lo sentivo chiederle quanta droga avessero assunto. Pareva fuori controllo. Perse minuti preziosi“.












