Boris Pahor, tra i più importanti scrittori sloveni, di nazionalità italiana, aveva dato voce al dolore e alle sofferenze subite nei lager nazisti. Raccontava l’importanza della lotta alle discriminazioni. A soli 7 anni, la vita lo rende testimome e protagonista del rogo del Narodni Dom (casa del popolo), del 13 luglio 1920: il primo episodio che ha svelato allo scrittore la crudeltà delle discriminazioni etniche. Questo episodio ha profondamente segnato la sua vita ed anche i suoi libri. Nelle sue frasi, difatti, torna frequentemente a ricordare quel giorno.
Nel 1944 inizia il travaglio della deportazione. Viene catturato e portato nei lager in Germania, di cui parlerà nei suoi libri.
Nato nel 1913 a Trieste, Boris Pahor è morto all’età di 108 anni. È considerato uno dei massimi esponenti della cultura e scrittura novecentesca. Ha dedicato la sua vita alla lotta per le discriminazioni, etniche ma anche linguistiche, per la libertà e dignità dell’individuo, ed anche per gli umiliati e gli offesi. “Qui è proibito parlare” , “Il rogo nel porto“, “La città nel golfo“, sono alcune delle sue opere più note al grande pubblico. Circa una trentina dei suoi libri, sono stati tradotto in decine di lingue. In “Necropoli” racconta la sopravvivenza ai lager nazisti, le discriminazioni subite dalla minoranza slovena triestina, durante la dittatura.